Quella gara è diventata tante di quelle cose che a un certo punto sono stati trascurati i veri protagonisti dell’evento. Ma il 17 giugno 1970 allo stadio Azteca a fare la Storia sono sono stati degli uomini e un pallone. Roberto Brambilla e Alberto Facchinetti per edizioni InContropiede raccontano l'intreccio dietro a quel "Quattro a tre" di mezzo secolo fa
A 50 anni dalla “Partita del Secolo” di Città del Messico, esce il nuovo libro QUATTRO A TRE (Edizioni InContropiede, 132 pagine, 14,50 euro) con la prefazione di Massimiliano Castellani. Gli autori Roberto Brambilla e Alberto Facchinetti raccontano l’intreccio di storie e personaggi dietro a quei 120 minuti. Perché a fare la Storia il 17 giugno 1970 allo stadio Azteca sono stati degli uomini e un pallone. Come Giorgio Lago, giornalista scrupoloso, che andò a chiedere conferma a Gianni Rivera se il gol definitivo del 4-3 lo avesse segnato di sinistro. “Sì, certo, di sinistro”, rispose. Si erano sbagliati entrambi.
Qui, per gentile concessione della casa editrice, ecco un brano del volume:
Gli azzurri battono il calcio d’inizio dopo il 3-3. Rivera ha nelle orecchie ancora le urla di Albertosi e nella testa un’idea folle: farsi consegnare il pallone, correre per tutta la metà campo avversaria e segnare il gol della vittoria. Vuole farsi perdonare. Ma quando De Sisti gli dà la palla all’indietro, Gianni vede maglie bianche ovunque. Meglio di no. Il cambio di programma avviene rapidamente. Restituisce il pallone a Picchio, che smista alla sua sinistra a Facchetti. Il capitano lancia verso Bonimba, è incredibile che Bobo ne abbia ancora al 111’ dopo la partita che ha giocato finora. Di fisico se ne va da Willi Schulz, il numero 5 della Germania. In area arriva un po’ decentrato, con il difensore tedesco che non molla, difficile cercare direttamente la porta da qui. E allora scarica all’indietro. De Sisti si è fermato indietro, qualche metro dopo il cerchio di centrocampo, segue l’azione da una posizione privilegiata. Il pallone arriva sui piedi di Gianni Rivera. È un rigore in movimento. Sepp Maier si butta alla sua sinistra, il Golden Boy incrocia sull’altro palo.
Il 19 aprile scorso a Rivera hanno consegnato il Pallone d’Oro prima di Milan-Cagliari. Dopo l’oriundo Omar Sivori nel 1961, è il primo italiano a portarsi a casa questo preziosissimo riconoscimento. Il Cagliari ha appena vinto lo scudetto, presente alla consegna del premio anche Gigi Riva che in graduatoria è arrivato secondo. “Bravo Gianni – gli ha detto il bomber – ma ricorda che questo premio lo meritavo io”. Terzo classificato Gerd Müller, quarto Cruijff, sesto Best. Beckenbauer è arrivato settimo, davanti a Pierino Prati. Quattro anni fa con un intellettuale (rossonero) come Oreste Del Buono Rivera ha scritto per Rizzoli la sua biografia. “Un tocco in più” è intitolato il libro del numero 10 del Milan. Per l’occasione Del Buono aveva interpellato Brera, che al solito non era stato tenero con Gianni. “Il mio abatino calligrafo… Mi rincresce confessarlo, l’ho proprio sopravvalutato prima, non lo sottovaluto ora… Poca cassetta, e nessun fondo atletico, nel Milan può magari salvarsi, ma in Nazionale… In Nazionale è un disastro”. Il sommo giornalista italiano sottoscriverebbe queste parole anche in questo momento.
“Rete ha segnato ancora l’Italia. Non sappiamo dirvi con chi, gentili ascoltatori… Esattamente con Rivera”. Accanto ad Ameri, nella postazione di Radio Rai c’è il collega Provenzali. Alfredo da qualche anno è una voce fissa di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Qui in Messico ha fatto alcune radiocronache, ora all’Azteca non ha particolari compiti arrivatigli dalla sede di Roma. Vista la durezza della partita, ha chiesto in una breve pausa al collega Enrico se avesse avuto bisogno di un aiuto. “Fammi solo un massaggio alla schiena, mentre continuo la radiocronaca” e Provenzali ha obbedito.
“Questa partita non ci lascia più fiato”, la voce di Ameri arriva agli italiani attaccati alla radio. Classe 1926, Ameri è stato assunto in Rai nel 1951. Ha dedicato già più di venti anni allo sport, ma la radiocronaca più importante fino a questo momento è quella di un anno fa, quando ha commentato l’allunaggio. Pizzul intanto sente dietro di lui un collega della Rai urlare “Vinciamo vinciamo vinciamo”. Crede di riconoscere la voce di Eugenio Danese, ma nella concitazione dell’evento non giurerebbe sul fatto che sia lui. Magari è Maurizio Barendson, Giorgio Boriani, uno degli inventori di “Tutto il Calcio” o il regista Rai Mario Conti.
“Che meravigliosa partita, ascoltatori italiani!”, dice Martellini ai milioni di telespettatori in Italia. Nella tribuna dietro alla porta ha seguito con ansia il pallone mentre entrava in rete anche il tennista Nicola Pietrangeli. Con alcuni amici, grazie ad uno sponsor, è riuscito ad arrivare in Messico e seguire parte del Mondiale. Ha una grande passione per il calcio. Ha quasi 37 anni, quest’anno ha vinto un torneo in Libano e a Roma è uscito al primo turno. Soprattutto nella partita di Davis con la Cecoslovacchia il suo ex compagno Orlando Sirola non l’ha convocato per lasciare posto al giovane talento Adriano Panatta, che non ha ancora 20 anni. L’Italia del tennis a Torino ha perso 3-2.
Antonio Ghirelli è il direttore del Corriere dello Sport. In tribuna stampa accanto a lui ci sono i fedelissimi Ezio De Cesari e Mario Pennacchia. Vicino a loro il gruppetto dei tedeschi, poi i francesi. Questi ultimi sul gol di Müller avevano fatto verso i colleghi italiani quel gesto con la mano universalmente riconosciuto. “A casa, a casa. Tornatevene a casa”. I tre italiani avevano fatto finta di niente, s’erano annotati sui loro taccuini qualcosa su Albertosi e Rivera e poi avevano rivolto lo sguardo nuovamente verso il campo. Ora che Rivera ha fatto il 4-3, Pennacchia si alza, guarda verso i francesi e fa loro l’inequivocabile gesto dell’ombrello. In postazione, in mezzo a francesi e italiani, ci sono i tedeschi che fraintendono. Pensano che il gesto sia diretto a loro. Si alzano inferociti andando incontro al giornalista italiano. Vogliono mettergli le mani addosso. Pennacchia con l’aiuto di Ghirelli e De Cesari in qualche modo si spiega e si salva. Possono continuare a seguire gli ultimi minuti della partita con il cuore pieno di gioia. Il primo ad abbracciare Rivera è Riva. Gianni esulta, quasi cadendo a terra. Si rialza e torna al centrocampo quasi in trance. Italia 4 – Germania 3.