Era la finale di Coppa Italia, il primo trofeo dopo il Covid. È stata una partita mediocre, noiosa, in linea col ritorno deludente del pallone, in cui i due portieri sono stati i migliori in campo e gli altri hanno sbagliato quasi tutto, anche il cantante Sergio Sylvestre ha toppato una strofa dell’inno, persino lo speaker confuso le sostituzioni, e i bianconeri alla fine hanno sbagliato pure i rigori, dopo lo 0-0 nei novanta minuti, 4-2 per il Napoli dagli undici metri.

Arriva dal dischetto la morale di questo strano incrocio col passato: il Napoli contro Sarri che aveva tanto amato, Sarri contro il Napoli che dopo due anni non è più suo. Si erano già ritrovati in campionato ma stavolta c’era un trofeo in palio, quello che il Napoli di Sarri, meraviglioso, incompiuto, non era mai riuscito a vincere. C’è l’ha fatta Gattuso, al primo colpo. È il giusto premio per aver giocato la partita che aveva in mente, catenaccio all’inizio, attenzione sempre, avanti quando poteva. Mentre la Juventus certo non può aver voluto questa prestazione, assolutamente incolore: Dybala opaco, Ronaldo non pervenuto, idee poche e confuse. Se si guardano le occasioni, alla fine il risultato non è bugiardo.

Gattuso ha puntato per una delle ultime volte che contano sul tridente dei piccoletti che fece le fortune di Sarri. I ricordi si fermano qui, di quella formazione, da recitare quasi a memoria, non resta più nulla: il Napoli di oggi è una squadra che punta tutto sulla disciplina e sulla difesa, rinuncia persino al tridente perché al di là delle apparenze si schiera con un 4-1-4-1 in piena regola. Prosegue, invece, la metamorfosi quantomeno laboriosa della Juve di Sarri, che dopo la Supercoppa perde anche il secondo trofeo dell’anno.

Con queste premesse, era inutile aspettarsi spettacolo. Certo non ha aiutato la manovra della Juve, lente, prevedibile, senza né larghezza, né profondità, poco ritmo, solo pressione costante, ma sterile e noiosa. Gli squilli, conclusioni dalla distanza, più (Ronaldo) o meno (Bentancur) pericolose, arrivano da errori in disimpegno degli avversari, unica licenza che si concede Gattuso per provare a ripartire, riuscendoci raramente. Per lunghi tratti si vedono tutti i 22 giocatori non solo nella metà campo, nella trequarti del Napoli. Alla fine del primo tempo, però, il conto delle occasioni è sorprendente e sono proprio gli azzurri i più pericolosi: tirano poco, ma almeno lo fanno bene, palo di Insigne su punizione, parate decisive di Buffon su Demme e ancora su Insigne. Tutto abbastanza casuale, ma in realtà il piano di Gattuso è studiato.

Nella ripresa, se possibile, va ancora peggio. La Juventus, non che avesse fatto molto, sembra calare pure fisicamente, come già contro il Milan contro cui non era riuscita a dominare neppure in superiorità numerica. Il Napoli prende coraggio, tiene il possesso, alza il baricentro di trenta metri. Iniziano le mosse tattiche, poi vere proprie girandole di cambi, con le cinque sostituzioni a testa concesse dal nuovo regolamento. È la classica partita in cui si dice: “Serve un episodio”. Per poco non arriva all’ultimo secondo, quando Bernardeschi regala un calcio d’angolo e sul colpo di testa di Maksimovic Buffon compie un miracolo. Le regole non prevedono nemmeno i supplementari, si va direttamente ai rigori: sbagliano Dybala e Danilo, quello decisivo lo segna Milik. Il Napoli di Gattuso, brutto, sporco e cattivo, ha già vinto in pochi mesi più di quello di Sarri.

Twitter: @lVendemiale

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