Le leggi del Nord Reno-Westfalia, il land in cui abitano Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz e l’azienda ha la sua sede, consentono ai due condannati per l'incendio in cui morirono sette operai di poter stare in carcere soltanto la notte. Il verdetto della Cassazione risale al 13 maggio 2016, ma ci sono voluti molti passaggi tra palazzi di giustizia, ministeri e ambasciate di Roma e Berlino per arrivare lo scorso febbraio alla richiesta di carcerazione. Poi la decisione di concedere la semilibertà. Il procuratore generale Saluzzo: “È una decisione di un autorità estera. Non posso commentare. Mi dispiace per le famiglie”
In carcere soltanto la notte. Di giorno in ufficio a lavorare. Nel weekend anche la possibilità di tornare dalle rispettive famiglie. Si chiama “offener Vollzug” ed è la modalità con cui sconteranno la loro pena Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, rispettivamente ex amministratore delegato e dirigente della ThyssenKrupp Acciai Speciali condannati per la morte di sette operai dopo il rogo dello stabilimento di Torino il 6 dicembre 2007, uno degli incidenti sul lavoro più drammatici della storia italiana. La procura di Essen ha stabilito che i due manager hanno diritto a ottenere questa sorta di “semilibertà” senza aver passato neanche un giorno intero in cella, come consentono le leggi del Nord Reno-Westfalia, il land in cui abitano i due manager e l’azienda ha la sua sede. A darne notizia è stata Radio Colonia. La decisione della procura di Essen arriva dopo più di quattro anni passati dalla sentenza definitiva con cui in Italia la Corte di cassazione li aveva ritenuti colpevoli, insieme ad altri dirigenti, di omicidio colposo, incendio doloso e omissioni di misure antinfortunistiche. “Ci incateneremo a Roma. Andremo a Essen. Qualcosa faremo. Devono dirci come è possibile questa cosa”, ha detto Rosina Platì, mamma di una delle sette vittime del rogo, Giuseppe Demasi. Stupito Antonio Boccuzzi, operaio sopravvissuto alle fiamme e poi deputato Pd: “Devono ancora inventare un aggettivo per esprimere le sensazioni che sto provando ora. La notizia è inattesa quanto vergognosa”. “È una decisione di un autorità estera – dichiara a ilfattoquotidiano.it il procuratore generale Francesco Saluzzo –. Non posso commentare. Abbiamo fatto tutto quello che era possibile per quello che sono le nostre competenze. Mi dispiace per le famiglie”.
Le responsabilità tedesche
Per Espenhahn la pena stabilita dai magistrati italiani doveva essere di 9 anni e 8 mesi, per Priegnitz 6 anni e 10 mesi. Tuttavia gli accordi in materia penale tra Italia e Germania prevedono che i due potessero scontare nel loro paese natale la condanna per la durata massima prevista dal loro codice penale. In questo caso, la condanna massima per l’omicidio colposo è cinque anni. Erano stati ritenuti responsabili per il loro ruolo apicale nella società. Prima del rogo, i vertici dell’azienda avevano stabilito che l’impianto di Torino doveva chiudere, ragione per cui vennero diminuite le spese per le misure antinfortunistiche. Come ha dimostrato l’inchiesta condotta dal pm Raffaele Guariniello insieme a Laura Longo e Francesca Traverso, nonostante i tanti piccoli incendi che avvenivano durante le lavorazioni, gli estintori non venivano ricaricati e le manichette d’acqua erano inutilizzabili. Così la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, quando sulla linea 5 si innesca il rogo, le fiamme avvolgono mortalmente Antonio Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino.
Nessuna informazione ufficiale
La notizia sulla decisione della procura di Essen è arrivata da Radio Colonia, emittente del Nord Reno-Westfalia. Nessun’autorità tedesca ha informato il ministero della Giustizia a Roma. “Non abbiamo avuto nessuna comunicazione ufficiale – spiega a ilfattoquotidiano.it una fonte di via Arenula –, ma tutte le informazioni andavano in quella direzione: in alcuni länder tedeschi l’esecuzione della pena comincia in carcere e poi si può accedere alle forme alternative, ma ogni singolo land ha una sua normativa in esecuzione della pena e il Nord Reno-Westfalia consente l’esecuzione della pena con questa modalità aperta”. Per ottenerlo bisogna soddisfare tre condizioni: non si deve essere recidivi, non deve esserci il pericolo di fuga e non deve esserci il rischio che il reato venga reiterato. Inoltre deve esserci un contratto di lavoro. Espenhahn e Priegnitz dal 6 dicembre 2007 non hanno mai smesso di lavorare per la ThyssenKrupp.
La lunga attesa
Dopo il verdetto della Cassazione del 13 maggio 2016, i dirigenti italiani condannati si erano presentati negli istituti di pena. Per Espenhahn e Priegnitz, invece, le cose sono andato molto per le lunghe. Non bastava. Il 16 maggio 2016 il sostituto procuratore generale di Torino Vittorio Corsi e il procuratore generale Francesco Saluzzo avevano emesso un mandato di arresto europeo e avevano chiesto l’estradizione, ma gli accordi tra Italia e Germania prevedono che i condannati possano rifiutare l’arresto e così hanno fatto i due manager. Bisogna avviare un’altra procedura per far eseguire le condanne in Germania. Le autorità italiane consegnano agli omologhi tedeschi la traduzione della sentenza della Cassazione e quella della Corte d’appello in base agli accordi in materia penale all’interno dell’Unione europea. Da Berlino, però, chiedono vari chiarimenti, copie di documenti persi e – in modo irrituale – la traduzione di tutte le sentenze del procedimento, quindi anche quella di primo grado, la prima sentenza d’appello e la prima della Cassazione che riformula i reati e chiede il ricalcolo della pena. I tempi si allungano e, a più due anni dalla Cassazione, il 6 agosto 2018 l’Italia riesce a inviare tutto il materiale richiesto. A settembre la procura di Essen chiede la carcerazione di Espenhahn e Priegnitz per la durata di cinque anni e all’inizio del 2019 il tribunale accoglie la richiesta. Gli avvocati ricorrono al tribunale superiore di Hamm che dopo un anno, per l’esattezza il 4 febbraio scorso, conferma la decisione. Capitolo chiuso? No. Ci si mette di mezzo la pandemia e non solo. Secondo quanto riportato a fine maggio da Radio Colonia, gli avvocati dei manager avevano fatto istanza per ottenere l’“offener Vollzug”.
Il parere di Eurojust
La decisione sull’esecuzione era attesa e in Italia c’era fiducia: “L’esecuzione è imminente e sarà carceraria”, sosteneva venerdì il procuratore generale Saluzzo sulla base di un parere di Eurojust, l’agenzia dell’Unione europea per la cooperazione tra gli Stati in materia di giustizia penale. “È un’esecuzione senzacondizioni, con modalità carcerarie. Non ci sono prospettazioni di modalità alternative”, aggiungeva. Oggi invece la conferma che Espenhahn e Priegnitz non faranno nemmeno un giorno interno in carcere.