I parenti dei sette operai morti nel rogo del 2007 hanno definito "ennesima presa in giro" la decisione della procura tedesca di concedere un regime di semilibertà per i due manager tedeschi già condannati in Italia
“Ci vergogniamo dell’Italia e ci vergogniamo della Germania, non possono zittirci dicendo che ce l’hanno messa tutta perché non è vero”. Tredici anni dopo il rogo che uccise sette operai della Thyssenkrupp, i parenti delle vittime chiedono ancora giustizia. E soprattutto il carcere per i responsabili. Ieri la procura tedesca di Essen ha autorizzato un regime di semilibertà per i due manager tedeschi già condannati in Italia: Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz dormiranno in cella, ma potranno passare le giornate lavorando all’esterno. “Quando hanno concesso l’estradizione dovevano farsi assicurare che sarebbero andati in carcere – continua Rosina Platì, madre di un operaio – Questa non è una condanna è l’ennesima presa in giro da parte di tutti”.
La decisione, anticipata dai media tedeschi, è stata comunicata ufficialmente ieri alla procura di Torino: “Non siamo mai stati con le mani in mano – ha commentato il procuratore generale Francesco Saluzzo, incontrando i familiari delle vittime – Se siamo arrivati a questo risultato è perché non abbiamo mai abbassato la guardia, ma non potevamo incidere perché si tratta di uno Stato estero“. Il procuratore ha poi spiegato che non c’era “nessuna possibilità” di far scontare la pena in Italia ai due manager del colosso dell’acciaio. “A un’esecuzione siamo comunque arrivati. So che siete delusi e più addolorati di prima, se possibile – ha detto ai parenti – ma volevo illustrarvi la situazione, ed è questa e non c’è rimedio”. Poi ha aggiunto: “Riesco a immedesimarmi e a comprendere il dolore, che ogni giorno è peggio, con le notizie che non aiutano a trovare un motivo di sollievo. L’Europa non ha una armonizzazione dei sistemi penali e processuali”. I familiari hanno anche contestato il fatto che i manager della Thyssen siano stati condannati per un reato colposo e non doloso: “Sono assolutamente convinto che fosse un reato doloso – ha risposto Saluzzo – ma in Italia siamo in uno Stato di diritto, dove il giudice ha stabilito che non lo era”.
Anche la sindaca di Torino Chiara Appendino ha ricevuto i parenti delle vittime a Palazzo Civico: “La città è arrabbiata e farà tutto il possibile per non lasciare sole le famiglie e come sindaca è importante dire che la battaglia non è finita per la città. Andremo insieme dal ministro“. In quell’occasione ha annunciato un incontro con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: “Abbiamo deciso di andare insieme perché pensiamo che se le istituzioni fanno squadra si posso ottenere risultati migliori”. Il ministro, da parte sua, ha già contattato i familiari delle vittime, che la prossima settimana potrebbero andare a Roma a incontrare una delegazione del governo.
La vicenda – La notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, un rogo si era sviluppato sulla linea di produzione 5: nelle fiamme hanno perso la vita Antonio Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino. L’inchiesta fece emergere gravi lacune nella sicurezza dello stabilimento, che era in via di dismissione per il trasferimento degli impianti a Terni. Harald Espenhahn, ex amministratore delegato della ThyssenKrupp Acciai Speciali, in Italia era stato condannato a 9 anni e 8 mesi. L’altro dirigente, Gerald Priegnitz, invece avrebbe dovuto scontare 6 anni e 10 mesi. I due manager del colosso dell’acciaio erano stati condannati in via definitiva il 13 maggio 2016 per omicidio colposo, incendio doloso e omissioni di misure antinfortunistiche. A differenza dei loro colleghi italiani, che sono entrati in carcere subito dopo la sentenza della Cassazione, per i tedeschi è stato necessario avviare le procedure affinché potessero scontare la condanna nelle carceri tedesche. Il sostituto procuratore generale di Torino Vittorio Corsi e il procuratore generale Francesco Saluzzo avevano emesso un mandato di arresto europeo e avevano chiesto l’estradizione, ma gli accordi tra Italia e Germania prevedono che i condannati possano rifiutare l’arresto e così era stato.