E’ inutile nascondermi. Sono felice.
Sono tifoso di una squadra che ha vinto pochissimo, che ha poche cose belle da ricordare. Il mio cervello è quello di un tifoso non abituato a vincere ma comunque allenato a una spasmodica, costante e logorante sfida con una squadra fortissima (in Italia) che da sempre non molla di un centimetro, anche quando il Napoli ha corso ai livelli di Usain Bolt come nel campionato 2017/2018. Non era semplice.
Di solito si dice che vincere logora. Non chi è abituato a farlo. Chi è abituato a vincere, come la Juventus, ha consolidato una struttura mentale tale da riuscire a esprimere con meno stress (o con più serenità) la propria forza. Ha la pancia piena e, a livello inconscio, il pensiero è allenato a ragionare in termini positivi. Si convince che non fa le cose bene ogni tanto, ma le fa bene sempre. Vincere è una abitudine, così come non vincere.
Vincere, per un tifoso (almeno per me), non significa giocare bene, vincere non significa essere primi in classifica 37 giornate su 38, vincere non significa fare il record dei punti, vincere non significa il possesso palla 120 minuti su 90, vincere non significa avere un allenatore con il miglior curriculum o palmares.
Vincere significa alzare trofei, essere inondati di coriandoli sul predellino con la scritta winner.
Punto.
Non mi nascondo.
Questo messaggio ha un duplice destinatario.
Il primo è Carlo Ancelotti, il fenomeno del calcio liquido e dal ricco curriculum ma che in un anno e qualche mese stava distruggendo 10 anni di crescita esponenziale di questo club. È stato capace di uscire lo scorso anno in Coppa Italia contro il Milan allenato da Gattuso che è andato via perché lo riteneva scarso ed in Europa League contro il peggior Arsenal della storia. È stato in grado di far ammutinare una squadra che mai prima di quel 5 novembre aveva manifestato il proprio disappunto. Menomale che ad un certo punto qualcuno ha capito che probabilmente ci avrebbe portato a lottare per la serie B.
Perché, come dice un mio carissimo amico, è facile conquistare una donna se hai una Maserati e la inviti a cena in un ristorante con 3 stelle Michelin. Ma è difficile riuscirci se hai l’Opel Corsa di 15 anni fa e la porti in trattoria. Caro Carle’, la morale è che senza i campioni hai dimostrato i tuoi limiti di leadership (troppo calma) e di motivazioni.
Il secondo destinatario è Rino Gattuso, il competente e preparato mister che ha battuto Lazio, Inter e Juventus per alzare la coppa. Non, con tutto il rispetto, il Bari (non me ne voglia il presidente) o il la U.S.O Calcio con cui il Sansovino di Sarri ha vinto la Coppa Italia di serie D.
Ripeto competente e preparato. Smettiamola di sottolineare il suo cuore, la sua forza, la sua inusuale (per il mondo del calcio) capacità comunicativa, la sua leadership antropologicamente assonante con il gruppo ed il popolo che rappresenta la squadra. Troppo facile ma anche ingereneroso.
Rino ha dimostrato di capire di calcio, recuperando la massima efficienza nella fase difensiva e facendo un fine tuning di quella offensiva che si deve basare su caratteristiche (velocità e ripartenze) che possono essere valorizzate solo se si assume consapevolezza del potenziale a disposizione. I giocatori erano confusi, avevano perso identità tecnica e tattica, oltre che le motivazioni.
Grazie mister, questa coppa è soprattutto merito della tua preparazione.
Ora vi devo lasciare. Vado a trovare mio padre al cimitero e gli porto il suo Mattino (mi perdoni il direttore Gomez, lui non leggeva Il Fatto).