Il quesito sottoposto dal ministro della Salute va nella direzione sollecitata da associazioni, ginecologi e ostetriche. L'Italia è tra i Paesi dove è più difficile l'interruzione di gravidanza con la RU486: solo Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Puglia e Toscana permettono la somministrazione in day hospital. Intanto domenica 21 giugno annunciata la protesta delle donne a Perugia contro lo stop della leghista Tesei
Il Ministro della salute Roberto Speranza si è rivolto al Consiglio superiore di sanità (CSS) “al fine di favorire, ove possibile, il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico, in regime di day hospital e in regime ambulatoriale, come in uso nella gran parte degli altri Paesi europei”, e di “prevedere l’aggiornamento delle Linee di indirizzo sull’IVG”, interruzione volontaria di gravidanza, con l’uso di Mifepristone (RU486) e prostaglandine, “tenendo anche in considerazione la possibilità di monitoraggio da remoto attraverso dispositivi tecnologici di telemedicina”. È il quesito posto dal Ministero al CSS presieduto da Franco Locatelli dopo l’ondata di proteste per il provvedimento recente della giunta leghista in Umbria, che ha deciso lo stop all’aborto farmacologico in day-hospital revocando una delibera regionale del 2019. Provvedimento rivendicato dalla giunta stessa sulla base delle linee di indirizzo che il Ministero aveva promulgato nel 2010 dopo che l’Agenzia del farmaco italiana, AIFA, aveva autorizzato l’immissione in commercio del farmaco come atto dovuto nel rispetto delle leggi europee, ma ponendo restrizioni che in altri Paesi non erano presenti: ricovero ospedaliero di tre giorni e limite delle 7 settimane di gestazione.
In generale l’Italia è molto indietro nella pratica dell’aborto farmacologico rispetto agli altri Paesi: al momento, secondo i dati dell’Associazione Coscioni, è possibile in day hospital in Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Toscana, Puglia e (fino alla settimana scorsa) in Umbria. La decisione della giunta umbra aggrava il quadro già problematico del diritto alla salute delle donne di questa Regione. In Umbria l’attesa per un’interruzione volontaria di gravidanza con metodo chirurgico è di tre settimane in media e solo il 5% delle donne umbre riescono a fare l’IVG farmacologica, vista la difficoltà di raggiungere i servizi. Infatti l’aborto farmacologico non è disponibile in nessuno dei grandi ospedali della Regione, che sono a Perugia, Terni e Foligno, ma neppure a Spoleto, Castello, Branca. Lo è a Narni e Orvieto, ma con il ricovero ospedaliero di tre giorni, anche dopo che è entrata in vigore la delibera che permetteva il day-ospital, quella cancellata dalla giunta di centrodestra Tesei. Ad applicare la delibera, a conti fatti, era solo l’Ospedale di Umbertide, ma solo da pochi mesi, dopo che il servizio era stato trasferito lì perché a Pantalla il servizio IVG era stato chiuso causa Covid. Ma anche al Pantalla si era dovuto aspettare 9 mesi perché la delibera fosse applicata.
“Quelle che possono, dall’Umbria vanno a Firenze, oppure a Bologna, Roma, Nottola (in Toscana). Ci sono politici che si mostrano scandalizzati davanti all’aborto, io mi scandalizzo di fronte al fatto che abbiano distrutto i consultori, che seguono anche le gravidanze, e messo a pagamento la contraccezione” dichiara con sdegno Marina Toschi, ginecologa di Pro-choice RICA (Rete italiana contraccezione e aborto), impegnata anche nel neonato coordinamento locale, la RU2020 Rete Umbra per l’Autodeterminazione. “Perché la libertà delle donne vi fa paura? Saremo in piazza nel giorno più lungo dell’anno, il giorno della nostra lotta per l’autodeterminazione, vestite con accessori o abiti di colore rosso come il sangue” annunciano le promotrici della manifestazione a carattere regionale che si terrà domenica 21 giugno, dalle ore 17:00, in Piazza IV Novembre a Perugia.
Nei mesi scorsi il ministero era stato sollecitato da più parti ad aggiornare le linee di indirizzo sull’aborto farmacologico per consentire non solo il day hospital, ma anche la de-ospedalizzazione dell’aborto con Ru486 e la possibilità di somministrare il farmaco fino a 9 settimane, come previsto dall’Agenzia europea del farmaco. Lo aveva chiesto anche la SIGO, Società italiana di ginecologia e ostetricia accreditata. “Il problema può essere risolto solo se il Consiglio superiore di sanità dà parere positivo. Come società scientifica possiamo definire le buone pratiche cliniche e la qualità dell’assistenza migliore, ma non possiamo indicare le modalità di somministrazione del farmaco. Tanto più che nel 2010 lo stesso Consiglio superiore di sanità, interpellato dal Ministero, aveva espresso parere negativo sulla somministrazione in day-hospital” ha spiegato Elsa Viora, presidente di Aogoi, Società scientifica dei ginecologi e ostetrici ospedalieri, sollecitata da ilfattoquotidiano.it sulla possibilità di produrre delle linee guida sull’aborto farmacologico, come previsto dalla Legge Gelli del 2017.
Ora quindi la palla è nelle mani del CSS nominato dalla ex ministra della salute Grillo, in cui si contano 3 donne su 30 componenti. L’altra istituzione chiamata in causa dovrebbe essere Aifa, agenzia italiana del farmaco, per l’allungamento del limite a 9 settimane, ma per ora dichiara di non avere ricevuto sollecitazioni.