Uno sostiene che l’arresto della discesa dei positivi è preoccupante se si guarda al prossimo inverno, l’altro è convinto che i nuovi casi non siano contagiosi e quindi la situazione è sostanzialmente sotto controllo. Gli esperti si dividono sulla situazione della pandemia di coronavirus nelle ultime settimane. Per Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova, “stiamo perdendo un’occasione” e “qualcosa non sta funzionando”. Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, sostiene invece che “non bisogna confondere il numero di tamponi” positivi “con l’andamento dell’epidemia”. Due interviste, due punti di vista di fronte ai circa 300 casi, buona parte dei quali concentrati in Lombardia, che in maniera costante nelle ultime due settimane sono stati accertati quotidianamente.
In un’intervista al Messaggero Crisanti spiega che “stiamo perdendo un’occasione: dovevamo sfruttare le temperature alte, nei giorni in cui il virus fatica maggiormente a circolare, per avvicinare allo zero la sua presenza. Invece, la discesa si è fermata”. Il consulente della Regione Veneto sostiene che nonostante i numeri dell’epidemia siano bassi “c’è un elemento che ci deve fare molto preoccupare: i nuovi casi sono costanti, non diminuiscono da settimane, gli scostamenti sono poco significativi”. Qualcosa, sostiene, “non sta funzionando, basta guardare i numeri della Lombardia”. Tradotto: “Non si sta facendo il tracciamento dei casi, non li si sta cercando e isolando, perché altrimenti il calo sarebbe proseguito. Pare evidente che questo virus è sensibile al fattore climatico, ma questo fa aumentare i timori per l’autunno-inverno”.
Remuzzi, pur riconoscendo a Crisanti un “gran lavoro” nel focolaio di Vo’, è convinto che i nuovi casi di positività hanno “una carica virale molto bassa, non contagiosa”. “Li chiamiamo contagi – dice in un’intervista al Corriere della Sera – ma sono persone positive al tampone”. Per questo, aggiunge il direttore dell’Istituto Mario Negri, “bisogna spiegare cosa sta succedendo alla gente, che giustamente si spaventa quando sente i dati”. L’Istituto superiore di Sanità e il governo, dice ancora, “devono rendersi conto di quanto e come è cambiata la situazione da quel 20 febbraio ormai lontano” e “devono comunicare di conseguenza”, altrimenti “si contribuisce a diffondere paura ingiustificata”. Le autorità sanitaria e politiche, insiste, dovrebbero “qualificare le nuove positività, o consentire ai laboratori di farlo, spiegando alla gente che una positività inferiore alle centomila copie di Rna non è contagiosa, quindi non ha senso stare a casa, isolare, così come non è più troppo utile fare dei tracciamenti che andavano bene all’inizio dell’epidemia”. Insomma: “Non bisogna confondere il numero di tamponi con l’andamento dell’epidemia”.