Facebook ha introdotto un’opzione che permette agli utenti di non vedere più le pubblicità di natura politica mentre usano Facebook e Instagram. Per il momento, come tutte le novità del social network, vale solo per gli Stati Uniti. A breve dovrebbe arrivare anche in Italia. Questa novità fa parte di un pacchetto di nuove funzioni e normative con una mission precisa: “Abbiamo costruito alcuni dei sistemi più avanzati al mondo per combattere le interferenze elettorali” spiega l’azienda.

Fra le novità, già disponibili in Italia, c’è l’obbligo di dichiarare chi finanzia la campagna elettorale su Facebook di un candidato e quello di confermare l’identità del proprietario della pagina che fa le inserzioni, attraverso l’invio della carta d’identità. Il risultato è quello che vedete nella foto qui sotto (non sono un politico, ma ho dovuto fare la procedura perché Facebook è convinto che lo sia, probabilmente perché ho un’agenzia di comunicazione politica).

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Questi passi in avanti verso la trasparenza sono dovuti alle polemiche su Donald Trump. Lo scandalo Cambridge Analytica, l’accusa rivolta al presidente di essere sostenuto dalla Russia attraverso i social e quella di manipolare l’opinione pubblica tramite fake news hanno costretto Facebook ad apportare lenti, sofferti, ma importanti cambiamenti. L’azienda ha aspettato quasi quattro anni per correre ai ripari, giusto in tempo per le nuove elezioni americane. Una nuova accusa di aver contribuito alla vittoria di un candidato sarebbe stata insostenibile per la reputazione dell’azienda.

Il vero incubo di Mark Zuckerberg però non sono i repubblicani di Trump, ma i democratici ieri a sostegno di Hillary Clinton, oggi di Joe Biden, che continuano a chiedere alla piattaforma di arginare la controversa comunicazione del presidente in carica attraverso nuove policy.

Facebook però non ama essere tirato in ballo dai politici. La sua linea è quella di garantire la massima libertà di espressione a chiunque. È concesso molto, per non dire quasi tutto, agli utenti. Insulti e fake news raramente vengono oscurati. Posso garantire per esperienza personale che l’azienda non fa alcuna distinzione fra la segnalazione di un ministro e quella di un utente comune. Se il post non viola le elastiche e volutamente generiche norme di Facebook, il contenuto resta lì.

Questo per molti versi può essere un vanto, a volte però restare neutrali può equivalere a schierarsi. È il caso della vicenda George Floyd, dove tutti – proprio tutti – si sono schierati dalla parte del movimento Black Lives Matter esponendosi pubblicamente. Tutti tranne Mark Zuckerberg ed Elon Musk (ma quella del fondatore di Spacex è un’altra storia).

Twitter ha considerato istigazione all’odio – dunque ha segnalato – un contenuto di Trump che riprendeva un vecchio slogan segregazionista “quando iniziano i saccheggi, si inizia a sparare”. Facebook invece è rimasto immobile. Di conseguenza il suo patron Mark Zuckerberg ha subito una dura contestazione interna: 400 lavoratori hanno fatto uno sciopero virtuale, due si sono licenziati e alcuni dirigenti hanno preso le distanze dal capo.

Seppur alle strette, Zuckerberg non poteva tornare sui suoi passi in quel momento. Ha dunque aspettato la prima occasione buona per unirsi allo schieramento più popolare, quello contro Trump. L’opportunità è arrivata poche ore fa: Facebook ha rimosso alcuni spot elettorali a sostegno di Donald Trump perché contenevano un simbolo usato dai nazisti, ovvero un triangolo rosso capovolto che nei campi di concentramento indicava i prigionieri politici. Ha oscurato i post dichiarando che violano la norma di Facebook sull’incitamento all’odio.

Un gol a porta vuota per Zuckerberg che comunque può stare tranquillo: il legame fra la politica e il social network è indissolubile.

Twitter e TikTok hanno deciso di eliminare del tutto le pubblicità politiche. Facebook ha deciso di tenerle. Non lo fa per il fatturato: quello derivante dalle inserzioni politiche è solo lo 0,5%, mentre i problemi sono molti. Credo dunque che lo faccia proprio in nome di questo legame.

I candidati in campagna elettorale e gli eletti sanno che grazie a Facebook possono raggiungere milioni di persone in target spendendo relativamente poco. Il social network sa, dall’altra parte, che grazie ai politici può tenere gli utenti sulla piattaforma per più tempo e più attivi.

Facebook è infatti il social su cui gli utenti si informano maggiormente, riguardo la politica e sul resto. Un fattore dovuto al grande numero di utenti e all’età media più alta rispetto alle altre piattaforme, oltre che alla configurazione stessa del social. Solo su Facebook puoi postare contenuti lunghi, dunque più adatti alla politica, e link alle notizie.

Che questo funzioni è evidente anche dall’engagement che hanno le pagine dei politici e le testate giornalistiche su Facebook.

Facebook non può fare a meno delle news, dunque dei politici e dei giornali che ne parlano. I politici non possono fare a meno di Facebook, specialmente quelli che non godono di una presenza costante sui media tradizionali come tv e giornali. Altrimenti non avrebbero alcun canale da usare per comunicare come e quando vogliono.

Questi cambiamenti sono solo il tentativo di calmare le polemiche innescate dai democratici. Quelli di oggi però, anziché sperare di fermare Trump togliendo la politica dai social, farebbero meglio ad imparare ad usarli, come fece egregiamente il loro predecessore Barack Obama.

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