Le accuse riguardavano due uomini: un moglianese che le aveva dato un passaggio in auto dopo che la ragazza si era allontanata dalla comunità Pars di Corridonia e un tassista di origini argentine che la avrebbe ospitata a casa sua la notte del 29 gennaio, il giorno prima dell'omicidio. Entrambi avrebbero avuto rapporti con lei approfittando del suo stato di "evidente difficoltà"
Più di due anni dopo la morte di Pamela Mastropietro, la diciottenne uccisa nel 2018, la Procura di Macerata ha archiviato le indagini sui due uomini accusati di violenza sessuale: un uomo di Mogliano che aveva dato un passaggio in auto alla ragazza, dopo che si era allontanata dalla comunità Pars di Corridonia e un tassista di origini argentine che la avrebbe ospitata a casa sua la notte del 29 gennaio. Poche ore prima dell’omicidio per cui è stato condannato all’ergastolo un terzo uomo, Innocent Oseghale. Entrambi gli indagati erano accusati di aver avuto rapporti sessuali con la diciottenne approfittando del suo “evidente stato di difficoltà” e di “minorata difesa“.
La richiesta di archiviazione era stata presentata dalla Procura sulla base del fatto che mancava la denuncia, cioé la querela di parte necessaria a perseguire il reato. La famiglia – rappresentata dallo zio della ragazza, Marco Valerio Verni, si era opposta: come avrebbe potuto sporgere denuncia Pamela, uccisa nemmeno 24 ore dopo? In questi casi, spiega, nemmeno un tutore o un familiare può sostituirsi alla vittima e presentare querela al suo posto. La settimana scorsa si era svolta l’udienza davanti al gip che ha accolto la richiesta di archiviazione. L’avvocato Verni, ai microfoni delle testate locali, parla di “un vuoto normativo che va colmato” e sottolinea che “il giudice ha evidenziato il difetto normativo che, in casi come questi, impedisce di fatto a terze persone di cercare e magari ottenere giustizia“. E fa appello alla politica affinché si colmi questa lacuna: “Che la morte di Pamela serva anche a questo”.
Le tappe della vicenda – La diciottenne romana era scomparsa dopo essersi allontanata da una comunità di recupero per tossicodipendenti. Il suo cadavere fu trovato smembrato e nascosto in due valigie abbandonate a pochi chilometri da Macerata, notate per caso da un passante. Pochi giorni dopo, i suoi vestiti macchiati di sangue furono trovati nell’abitazione di Innocent Oseghale, spacciatore, che inizialmente raccontò agli inquirenti che la ragazza era morta di overdose, dopo essersi iniettata l’eroina. Secondo l’accusa, invece, Oseghale aveva trattenuto la ragazza contro la sua volontà, per violentarla, ucciderla (con profonde coltellate all’addome) e poi disfarsi del cadavere smembrandolo. Una prima e poi una seconda autopsia esclusero l’overdose come causa del decesso e confermarono che dopo la morte della ragazza il corpo era stato poi sezionato con perizia, sottoposto a mutilazioni specifiche e cosparso con la candeggina per far sparire ogni traccia di contatto fisico: in parte scuoiato e lavato in maniera accurata “anche nelle regioni genitali”. Ma senza riuscire ad eliminare completamente il dna. Oseghale è stato condannato all’ergastolo: era accusato di omicidio, vilipendio di cadavere e violenza sessuale. Solo durante la seconda udienza in Corte d’Assise, però, emersero le accuse di violenza sessuale per i due automobilisti incontrati dopo essere fuggita dalla comunità: accuse definitivamente cadute con l’archiviazione. Il grande eco provocato dalla vicenda sollevò un’ondata di indignazione e venne utilizzato come motivazione per l’attentato commesso da Luca Traini, che aprì il fuoco in strada, a Macerata, ferendo sei persone.