È una presa di posizione durissima quella del Parlamento Ue nei confronti del primo ministro ceco, Andrej Babiš, accusato di uso improprio di finanziamenti Ue, e del sistema di controllo Ue sulla redistribuzione dei fondi strutturali nei vari Stati membri. Lo si legge nella risoluzione approvata venerdì a larga maggioranza dalla plenaria di Bruxelles, con 510 voti a favore, 53 contrari (tra cui Fratelli d’Italia) e 101 astenuti (tra cui la Lega). Un testo che ha trovato l’appoggio trasversale dell’aula, persino da una parte di Renew Europe di cui la formazione del premier, Ano 2011, fa parte, anche se il Paese fa parte del blocco sovranista di Visegrád.
Il testo riguarda la “riapertura delle indagini contro il primo ministro ceco sull’uso improprio di fondi Ue e i potenziali conflitti di interesse“. Una faccenda che risale al 2018, quando emerse che il gigante dell’agroalimentare Agrofert, di cui Babiš è il fondatore, aveva ricevuto milioni di euro di fondi destinati al settore agroalimentare. Negli anni, la vicenda è rimbalzata sui banchi dei diversi organismi europei, caratterizzandosi anche per episodi gravi, come le minacce denunciate dalla delegazione Ue giunta a Praga a febbraio 2020 per svolgere verifiche sulla redistribuzione dei fondi.
Babiš nel migliore dei casi, sostengono le forze europee, si trova in una situazione di pieno conflitto d’interessi visto che, in quanto premier, “è attivamente coinvolto nell’attuazione del bilancio Ue in Repubblica Ceca, mentre controlla ancora il gruppo Agrofert come fondatore e unico beneficiario di due trust“. Il Parlamento, quindi, “accoglie con favore la riapertura dell’inchiesta penale che riguarda il primo ministro ceco per il suo coinvolgimento nel progetto ‘Nido della Cicogna’ (Capi Hnizdo, un centro conferenze posseduto da una delle società del gruppo Agrofert dal 2007 e sul quale le autorità ceche stanno indagando per stabilire se i 2 milioni di fondi Ue ricevuti siano stati ottenuti in maniera impropria, ndr)” e “confida che la magistratura ceca procederà in modo indipendente e senza alcuna possibile influenza politica”.
Il problema, sottolineano gli eurodeputati, non è però solo la gestione dell’affare Babiš, tutt’altro che intenzionato a rinunciare ai fondi per l’azienda che ha fondato, ma anche e soprattutto l’inefficienza degli organi di controllo sulla gestione e la redistribuzione. A livello nazionale, l’aula sottolinea che sono state rilevate “serie carenze nella gestione e nei sistemi di controllo nell’area dei fondi regionali e di coesione nella Repubblica Ceca” e manifesta preoccupazione per il fatto che la Corte dei Conti nazionale non possa controllare regolarmente la correttezza nella spesa pubblica a livello “regionale e locale”. Senza dimenticare che il consiglio del Fondo statale per gli interventi agricoli ha una composizione “politicamente sbilanciata”.
Ma le carenze esistono anche e soprattutto a livello europeo. Non a caso i membri della plenaria chiedono alla Commissione Ue di creare un meccanismo di controllo che eviti “attivamente” i conflitti di interesse, anche “identificando i beneficiari finali degli aiuti Ue”, oltre che “tolleranza zero” nei confronti dei trasgressori.
Il Parlamento, inoltre, “disapprova fortemente” la creazione di “strutture oligarchiche che attingono ai fondi Ue agricoli e di coesione” e sottolinea poi che, a livello centrale a Bruxelles, il sistema di distribuzione e verifica dei fondi Ue è “opaco e complesso”, tanto che “la Commissione europea non è in grado di fornire al Parlamento un quadro puntuale quando le si chiede di determinati pagamenti in diversi Stati membri”. In particolare, “nessun regolamento sull’uso dei fondi agricoli e di coesione” impone l’obbligo di pubblicare il “beneficiario ultimo” di una società o di un ente che ottiene i fondi.
Gli eurodeputati “insistono sul fatto che un conflitto di interessi al massimo livello del governo di uno Stato membro, se confermato, non può essere tollerato e deve essere risolto dalle persone coinvolte”, o adottando misure tali per cui queste non abbiano più interessi economici nell’impresa, oppure evitando che l’impresa riceva “qualsiasi finanziamento da fondi Ue, sussidi pubblici o fondi distribuiti dal governo nazionale”.
Ma c’è un altro aspetto che inquieta i parlamentari di Bruxelles, ovvero lo scontro tra la delegazione di parlamentari che a fine febbraio si è recata in Repubblica Ceca per svolgere controlli ed esaminare l’uso dei fondi Ue da parte del Paese e lo stesso premier, nell’ambito della nuova inchiesta aperta a ottobre 2019 da parte dell’Eurocamera e della commissione per il controllo del budget. Il gruppo, formato da sei membri della commissione e presieduto dall’eurodeputata tedesca Monika Hohlmeier, appena arrivato ha avuto un diverbio molto duro con il primo ministro. Uno scambio di accuse che si è poi spostato anche sugli organi di stampa. “Appena arrivati – racconta una fonte vicina alla delegazione a Ilfattoquotidiano.it – Babiš ci ha definito traditori e pazzi, ricordando che i 30mila euro di costi per la spedizione erano soldi dei cittadini europei”.
Hohlmeier ha poi spiegato al premier che quella era la cifra massima messa a disposizione, ma che lei stessa era arrivata a Praga dalla Germania con la sua auto. E, raccontano le fonti, ha poi contrattaccato: “Lei può vantare la nostra stessa trasparenza?”. Tornati a Bruxelles, poi, i deputati hanno riferito di “parole di odio” da parte del primo ministro, tanto che uno dei membri della delegazione si è rivolto alla polizia. “Condanniamo fortemente l’uso pubblico di linguaggio diffamatorio e di odio nei confronti dei partecipanti alla missione da parte del primo ministro – conclude la risoluzione del Parlamento – Troviamo inaccettabile che i membri del Parlamento che hanno preso parte alla missione della commissione Controllo dei Bilanci in Repubblica Ceca abbiano ricevuto minacce di morte e altri attacchi verbali mentre facevano il loro lavoro”.