Tutti vogliono soldi in prestito dalle banche. Piccoli, medi e grandi imprenditori, nessuno è escluso, bussano alle porte degli istituti di credito per evitare il default.
Ecco il punto. La finalità della destinazione dei finanziamenti, come si dice in “banchese”, non è lo sviluppo ma la sopravvivenza.
Vi è in Italia, infatti, una opinione diffusa che la carenza di credito sia oggi uno dei più gravi vincoli alla crescita economica del Paese. In certe sue varianti estreme, questa linea di pensiero arriva ad argomentare che l’attuale recessione e addirittura l’intera crisi finanziaria, siano dovute a una contrazione del credito.
Non vi scandalizzate se vi dico che la verità è esattamente all’opposto. La crisi che stiamo vivendo e che vivremo nei prossimi mesi è nata dall’eccesso di credito, non dalla sua carenza. E la pandemia non è la causa principale. La pandemia ha solo accelerato un processo che in Italia pre-esiste alla crisi di una ventina di anni, e che è semmai aggravata, o quantomeno perpetuata, da un eccesso di dipendenza dal credito bancario. L’Italia, all’interno della crisi globale, soprattutto nel settore delle Pmi, soffre di una sua specifica incapacità di generare sviluppo e l’assenza di credito è solo un capo espiatorio assai in voga.
Tutte le esperienze professionali che ho vissuto negli ultimi trenta anni confermano un punto: non è l’espansione del credito il motore dello sviluppo, meno che mai l’espansione del credito indifferenziata, o peggio, a sostegno di tutte le imprese in crisi.
Più credito uguale meno sviluppo: ecco il paradosso che sembra emergere dalle osservazioni fatte in tutti questi anni.
La responsabilità del sistema bancario, mica poteva mancare, si evidenzia in tre punti.
Innanzitutto, l’espansione del credito non è il solo e neanche il principale motore dello sviluppo economico: le banche possono (e devono) contribuire allo sviluppo in molti altri modi, anche più importanti del credito come il collocamento dei mini bond.
In secondo luogo, l’espansione indifferenziata del credito sarebbe oggi addirittura dannosa, dato che il 50-60% del credito è attualmente allocato a imprese e settori in crisi strutturale; è cruciale ai fini dello sviluppo economico che i nuovi flussi di credito siano allocati alle imprese con le maggiori prospettive di crescita.
Infine, al di là della riallocazione e/o espansione del credito, il contributo del sistema bancario alla sopravvivenza delle imprese dovrebbe consistere nella capacità di rispondere alle diverse situazioni competitive presenti nel nostro tessuto economico, con strumenti differenziati. Perché sostanzialmente nel nostro paese, in questo momento, abbiamo un gruppo assai numeroso di imprese stagnanti e già in forte crisi finanziaria che richiede strumenti di ristrutturazione e gestione della crisi che rimpiazzino l’attuale utilizzo del credito come palliativo. All’estremo opposto, troviamo un gruppo piccolo ma importantissimo di imprese in forte crescita e molto solide, che invece richiede di essere sostenuto con una gamma assai ampia di strumenti a supporto dello sviluppo, all’interno dei quali il credito è solo una piccola parte.
Ma non è solo colpa delle banche.
Prodromico al credito dovrebbero esservi piani di sviluppo chiari e sostenibili, sostenuti da una dote adeguata di capitale di rischio che non è da confondere, tipico lapsus del piccolo imprenditore, con il patrimonio personale a garanzia delle linee di credito. Una azienda ben capitalizzata può sostenere piani di sviluppo; un imprenditore con un soddisfacente quadro B (immobili) della dichiarazione dei redditi non produce sviluppo.
Non solo, ma a valle dovrebbero esservi anche forme di advisory finanziario, anche presenti in azienda sotto forma di temporary manager, rivolte a definire il pacchetto di supporto più appropriato per i piani di investimento aziendale, o addirittura forme di advisory che entrino nel merito degli stessi progetti (ad esempio aiutando a valutare l’attrattività relativa di potenziali nuovi mercati).