A 48 ore dalla prima bordata, il sindaco di Bergamo torna all'attacco: "La concordia non può sequestrare il dibattito interno. Accordo con i 5stelle ha spostato il nostro baricentro sulla protezione sociale". Il vice-segretario: "Piena crisi economica, due scissioni, Lega vicina e si parla di congresso: astuzia". E Bettini: "Evidente ingenuità, stiamo mettendo i sovranisti ai margini"
Giorgio Gori insiste sulla necessità di aprire un dibattito sulla leadership del Pd, che dovrebbe essere “molto più determinato e incisivo”, ma di fronte alle richieste del sindaco di Bergamo arrivano gli alt del vice-segretario Andrea Orlando e di Goffredo Bettini, consigliere di quel Nicola Zingaretti che l’ex renziano vorrebbe disarcionare non per interessi personali quanto perché – sostiene – la “concordia” non può “sequestrare il dibattito interno” e il partito “non può accontentarsi”.
A 48 ore dalla prima bordata che aveva aperto la discussione sulla segreteria guidata da Zingaretti, il sindaco di Bergamo torna all’attacco in un’intervista a La Repubblica. Ribadendo le critiche all’attuale linea del Pd, Gori indica la necessità di un congresso il prima possibile “perché in autunno potrebbe essere troppo tardi per salvare il Paese”. E la discussione diventa un battibecco social.
In questa fase “così difficile serve un Pd molto più determinato e incisivo”, dice. “È arrivato il momento di accelerare le riforme di cui il Paese ha bisogno”, perché bisogna “tornare a far crescere l’Italia, di almeno l’1,5 per cento all’anno, o saremo travolti”. In questo scenario il Partito Democratico dovrebbe essere “il partito del lavoro, il punto di riferimento dei lavoratori, degli operai e degli imprenditori, dei precari e delle partite Iva, delle donne e dei giovani, e non lo siamo”.
Anzi, è la critica di Gori, l’accordo con i 5 Stelle “ha spostato il nostro baricentro sulla protezione sociale, come se potesse esistere senza creazione di ricchezza e crescita”. Il sindaco di Bergamo dice di avere “simpatia e stima personale nei confronti di Zingaretti e “nessun pregiudizio”, ma “la concordia non può essere né un feticcio né un fine ultimo”. Insomma: “Non può sequestrare il dibattito interno. Nessuno auspica un voto adesso, ma non possiamo accontentarci”.
A chi lo accusa di remare da dentro i ranghi del partito in favore di Matteo Renzi, di cui è stato grande sponsor, Gori risponde: “Non credo nei piccoli partiti né tantomeno nei partiti che nascono attorno a un’unica personalità”. Ma a suo avviso di fronte all’emergenza occupazione “che ci aspetta, considero un grave limite che il Pd non abbia responsabilità diretta nei ministeri chiave, come quello del Lavoro, dello Sviluppo Economico e dell’Istruzione, tutti lasciati agli attuali alleati”.
Un’accusa a tutto campo di fronte alla quale arriva il secco alt del vice-segretario Andrea Orlando: “È scritto nei manuali – twitta il numero due dem – Se dopo una pandemia (forse non ancora conclusa) nel pieno di una crisi economica e dopo due scissioni un partito riesce quasi a raggiungere la principale forza avversaria, la cosa migliore da fare è una discussione su un congresso che non c’è. Astuzia”. Un affondo al quale Gori ha ribattuto: “L’ultimo sondaggio Swg dà il Pd al 19%. Quattro punti sotto le Europee, al livello del disastroso risultato del marzo 2018″. Risponde Orlando: “Scissioni? Comunque vedrai dopo questo dibattito aperto così (c’è stata una direzione pochi giorni fa) e in questo momento (nel pieno della manovra economica più difficile della storia recente) che balzo in avanti!”.
Gli uomini vicini al segretario fanno quadrato. Dopo il freno tirato da Dario Franceschini venerdì, anche Goffredo Bettini, consigliere tra i più ascoltati da Zingaretti, ricorda che l’attuale segretario ha “unito” il Pd e lo ha “rafforzato”. Perciò chi lo attacca “è ingenuo” rispetto ai tempi e da una mano “ai sovranisti” in difficoltà. Gori, dice Bettini sostenendo la compattezza della classe dirigente del partito, “all’improvviso ha posto la questione assai destabilizzante di una presunta insufficienza di Zingaretti. Tutto legittimo. Ma c’è un’evidente ingenuità rispetto ai tempi che ha scelto”.
Ma c’è anche una “gigantesca questione di merito”, continua: “Zingaretti ha preso il Pd con i sondaggi al 15%, diviso, senza linea politica e antipatico alla gran parte degli italiani. Lo ha unito, rafforzato elettoralmente e ne ha fatto il pilastro di un governo che ha emarginato la destra sovranista e affrontato finora la pandemia con dignità e serietà”. Quanto al presunto indecisionismo e la tendenza ad appiattirsi sul premier Giuseppe Conte e i grillini di Zingaretti, Bettini osserva: “Non vedo né l’uno né l’altra. Piuttosto un’accorta fermezza, con la quale Zingaretti è stato decisivo nel tenere in vita la nostra esperienza politica e di governo”.