In migliaia fuggono dalle città, bloccate dalla pandemia. Federico Rigon, da una delle basi umanitarie dell'Operazione Mato Grosso, racconta: "Situazione drammatica, gli ospedali accettano solo le emergenze. Manca cibo”
“La gente sta scappando a piedi dalla capitale Lima, dalle grandi città come Chimbote, Chiclayo e Trujillo. Devono decidere se morire di fame o per il virus. Per questo sulla strada Panamericana ci sono file e file di persone che disperatamente vogliono tornare a casa sulla Sierra, perché in città hanno perso il lavoro”. Federico Rigon è un ingegnere vicentino di Schio che da quasi trent’anni vive in Sudamerica, in una delle basi umanitarie dell’Operazione Mato Grosso, l’organizzazione di volontariato internazionale fondata dal salesiano padre Ugo De Censi, scomparso qualche anno fa. È una drammatica testimonianza quella che rimbalza in Italia sotto forma di lettera e di un filmato che mostra i gravissimi effetti del Covid-19 sulla popolazione andina, che soffre letteralmente la fame.
Il Perù, con 247mila infetti, è il secondo paese sudamericano per diffusione del Coronavirus, anche se finora le vittime sono state 7660. Un dato riconducibile all’età media della popolazione, più giovane rispetto ai paesi europei. Al primo posto c’è il Brasile con oltre un milione di infettati e più di 49mila morti, al terzo il Cile con 231mila contagiati, mentre in Centro America il Messico ha circa 170mila malati, ma oltre 20mila morti. Le strutture sanitarie non sono in grado di far fronte a una crescita che non si arresta.
“Shilla, dove viviamo – racconta Federico Rigon– è un paesino a 3000 metri di altezza sotto lo Huascaran, una cima molto bella della Cordillera Blanca. Da tre mesi siamo in quarantena e sembra che ci rimarremo fino a settembre. I casi positivi di Covid sono sempre più in aumento, soprattutto a Lima e Chimbote. Per questo la gente sta scappando a piedi, anche perché ha perso il lavoro di venditori ambulanti o di scaricatori nei mercati. La situazione è drammatica e gli ospedali accettano ormai solo le emergenze”.
Un filmato, corredato da fotografie, mostra il lavoro dei volontari italiani che in Italia possono contare su 150 gruppi di supporto dell’Operazione Mato Grosso: “Il problema più grande che la gente deve fronteggiare è la mancanza di viveri. In quest’ultima settimana sono arrivati in parrocchia famiglie e anziani a chiedere aiuto. Stiamo cercando di dare qualcosa a tutti. Un po’ di pasta ne abbiamo ancora, mentre dobbiamo comprare riso, zucchero e farina a sacchi da 50 chili. Abbiamo dovuto lasciare a casa tutte le persone che lavoravano qui da noi. Operai, cuoche, il panettiere, il casaro. Anche a loro, per aiutarli, stiamo dando dei viveri: ci sembra questo il modo più concreto per fare la carità. Quando consegniamo i pacchi, casa per casa, colpiscono i tanti ‘gracias’ commossi di riconoscenza della gente che riceve questo regalo per poter sopravvivere qualche giorno”. La situazione è generalizzata. “Io racconto del piccolo pueblo di Shilla, ma il bisogno si deve moltiplicare per tutte le missioni che abbiamo qui in Perù, circa 70. In particolare a Chimbote, sulla costa, dove la situazione è sicuramente più difficile anche perché si tratta di una città di 350mila abitanti censiti, con tanta gente che vive nelle baracche”.
In Perù è in corso un vero e proprio esodo. I peruviani che erano partiti dalla zona della Selva, in Amazzonia, o dalla Sierra, cercano di tornare a casa. Ma la circolazione con mezzi a motore è bloccata perché gli accessi ai paesi sono chiusi da catene, per evitare spostamenti. E così la gente si mette in cammino, usando strade e autostrade prive di traffico. Le segnalazioni rimbalzano in Italia soprattutto grazie alla voce di tanti volontari e missionari delle più diverse congregazioni che chiedono un aiuto.