Li hanno esaltati come “il nostro esercito in camici bianchi”. Poi, quando hanno iniziato a denunciare condizioni di lavoro insicure, assenza di dispositivi di protezione individuale, inadeguata formazione per individuare i sospetti contagi, insufficienti mezzi per testare il personale sanitario e mancato accesso a cure mediche vitali, sono diventati “soldati traditori”.
In Egitto, come ha denunciato alla fine della scorsa settimana Amnesty International, è in corso una campagna intimidatoria e persecutoria ai danni degli operatori sanitari che osano criticare il governo per la gestione dell’emergenza sanitaria. Si va dai provvedimenti disciplinari ai trasferimenti, fino al carcere per accuse di “diffusione di notizie false” e “terrorismo”.
E dire che “il nostro esercito in camici bianchi” ha pagato un prezzo altissimo. Secondo il Sindacato dei medici, da metà febbraio, quando la pandemia da Covid-19 ha raggiunto anche l’Egitto, oltre 400 operatori sanitari sono risultati positivi al test e almeno 68 sono morti. Questi numeri non comprendono quelli relativi ai medici morti con sintomi da coronavirus, come la polmonite, che tuttavia non erano stati sottoposti al tampone.
Non comprendono neanche tutte quelle altre categorie professionali – le infermiere, i dentisti, i farmacisti, i tecnici di laboratorio, gli addetti alle consegne dei farmaci, il personale delle pulizie – a loro volta in prima linea per assicurare che le persone avessero accesso alle cure mediche e ad altri servizi di base.
Tra marzo e giugno Amnesty International ha documentato i casi di otto operatori sanitari (sei medici e due farmacisti) arrestati arbitrariamente dalla famigerata Agenzia per la sicurezza nazionale solo per aver espresso le loro preoccupazioni sui social media.
Alaa Shabaan Hamida è stata arrestata il 28 marzo all’ospedale universitario el-Sharby di Alessandria dove lavorava, dopo che un’infermiera aveva usato il suo cellulare per segnalare al “numero verde” del ministero della Salute un caso di coronavirus. A denunciarla è stato il direttore dell’ospedale, accusandola di essere andata oltre i suoi compiti chiamando direttamente il ministero. Alaa, incinta, è attualmente in detenzione preventiva con le accuse di “appartenenza a un gruppo terrorista”, “diffusione di notizie false” e “uso improprio dei social media”.
Un altro medico, i cui familiari preferiscono non rivelare il nome, è stato arrestato il 27 maggio per aver scritto un articolo in cui aveva messo in discussione l’efficacia della risposta del governo alla pandemia da Covid-19 e i problemi strutturali del sistema sanitario egiziano.
Secondo i suoi familiari, quattro agenti delle forze di sicurezza hanno fatto irruzione nella sua abitazione, sequestrandogli cellulare e computer e chiedendogli se avesse preso parte ai funerali di un collega, Walid Yehia, morto dopo aver contratto il virus e che era rimasto due giorni in attesa di trovare un letto disponibile in un ospedale per la quarantena del Cairo.
Il 25 maggio un gruppo di medici dell’ospedale al-Mounira del Cairo ha rassegnato le dimissioni, lamentando la mancanza di formazione e di kit per effettuare i tamponi nonché “le decisioni arbitrarie [del ministero della Salute] in relazione all’effettuazione dei test e alle misure di isolamento”, che potrebbero aver contribuito alla morte di Walid Yehia. Funzionari dell’Agenzia per la sicurezza nazionale si sono recati all’ospedale al-Mounira per costringere i medici in sciopero a ritirare le dimissioni. In relazione alla morte di Walid Yahia, le indagini avviate dal ministero della Salute hanno riconosciuto “responsabilità amministrative” ma limitatamente all’ospedale dove era avvenuto il decesso.
Fonti del Sindacato dei medici hanno confermato che gli operatori sanitari vengono tuttora sottoposti a minacce e interrogatori da parte dell’Agenzia per la sicurezza nazionale, procedure amministrative e sanzioni: “Stiamo ricevendo molte denunce, mentre altri preferiscono pagare e tacere. Ci stanno costringendo a scegliere tra la morte e il carcere”.
L’Agenzia per la sicurezza è presente in tutti i comitati di crisi del Covid-19 del paese, a conferma del modello sicuritario seguito nella gestione della pandemia.
Sempre fonti del Sindacato dei medici hanno riferito di operatori sanitari puniti col trasferimento negli ospedali per l’isolamento delle persone in quarantena o in strutture sanitarie situate in altri governatorati. Questa situazione mette a rischio i medici anziani o quelli con patologie pregresse.
Un provvedimento del genere ha riguardato un medico dell’ospedale centrale di Deyerb Negm, trasferito altrove dopo aver postato un video in cui sollecitava la fornitura di dispositivi di protezione individuale. Stesso destino hanno subito otto farmaciste, trasferite in altri governatorati del paese dopo che avevano denunciato le condizioni di lavoro all’interno dell’Istituto di medicina nazionale di Damanhour.
Il 14 giugno il Sindacato dei medici ha emesso un comunicato stampa in cui si sottolineava come questa situazione stesse creando “frustrazione e paura tra i medici”.
La persecuzione nei confronti di operatori sanitari esisteva anche prima della pandemia. Nel settembre 2019 cinque di loro erano stati arrestati per aver lanciato la campagna “I medici egiziani sono arrabbiati”, che chiedeva una riforma del sistema sanitario egiziano. Uno di loro, il dentista Ahmad al-Daydamouny, è ancora in carcere per aver denunciato online il salario basso, le condizioni di lavoro e l’inadeguatezza delle strutture sanitarie.