Le tribune dello stadio Azteca di Città del Messico sono deserte. I tifosi se ne sono andati già da un pezzo. Hanno ingoiato i loro cori, hanno arrotolato le loro bandiere, hanno pulito via le lacrime di dolore e lasciato che quelle di gioia si asciugassero sul loro viso. Il mezzo al campo, in quel pomeriggio del 22 giugno 1986, c’è solo Diego Armando Maradona. E un centinaio di giornalisti. Penne in resta, si avvicinano fin quasi a schiacciarlo. E poi mitragliano una domanda dopo l’altra. “Dite che sono un dio? Io sono solo un calciatore – risponde infastidito – capitano della Nazionale argentina”. Mente, Diego Armando Maradona. E lo sa benissimo. Perché in quel pomeriggio di giugno ha abbandonato una volta per tutte la dimensione terrena per trasformasi in una divinità.
In verità il suo processo di beatificazione era iniziato tre anni prima. Nel gennaio del 1983 D10S è a Lloret de Mar, sulla Costa Brava spagnola. Corre e suda. Suda e corre. Sta cercando in tutti i modi di riprendersi dall’epatite che stava martoriando la sua prima stagione con la maglia del Barcellona. A un tratto suona il campanello. È Carlos Bilardo, il nuovo ct dell’Argentina. “Mi stavo preparando per andare a correre – racconta Maradona – il Narigon mi salutò, mi dette un bacio e mi disse: ‘Hai una felpa per me?’. Gliene detti una e mi chiese: ‘Posso venire a correre con te?’. La prima cosa che pensai fu esattamente la stessa che pensai molte altre volte, nel corso di tanti anni di rapporto: ‘Questo tipo è matto, questo tipo ha problemi di testa’”.
E invece l’allenatore-ginecologo aveva un piano ben preciso in mente: la sua Argentina deve fondarsi su un solo calciatore, un uomo che deve diventare icona, un’icona che deve diventare guida per una Nazione intera. E quell’uomo deve essere per forza Maradona. Durante ogni viaggio Diego comprava una fascia da capitano. Ne ha circa duecento, tutte chiuse in un cassetto. E ora è arrivato il momento di tirarne fuori una. Il numero dieci si cala nel ruolo, butta giù un piano. “La prima cosa che mi proposi fu di mostrare qualcosa, una coscienza: giocare per la Seleccion doveva diventare la cosa più importante del mondo”. Così è. L’Argentina si qualifica con qualche difficoltà per i Mondiali messicani del 1986. La squadra fatica ad assorbire le richieste di Bilardo e ad attrarre le simpatie dei tifosi. “Più che entusiasmo, suscitavamo rabbia“, dice Maradona.
È comunque benzina, carburante buono per far andare a mille le gambe dei calciatori e per far palpitare i loro cuori. In Messico le cose cominciano a cambiare. L’Argentina vince il suo girone (composto da Italia, Bulgaria e Corea del Sud), poi agli ottavi batte 1-0 l’Uruguay. Diego fatica. Più fuori che dentro il campo, in verità. Si lamenta per gli orari delle partite che costringono i calciatori a giocare sotto il sole infuocato di mezzogiorno. Un caldo che inzuppa le magliette e svuota i polmoni. “Prima delle partite io andavo sempre a dormire tardi e mi svegliavo alle undici – racconta nella sua biografia – invece per giocare a mezzogiorno dovevo svegliarmi alle 8 del mattino”. Anche sua madre si preoccupa. Gli telefona e gli chiede se mangia abbastanza, se si riposa abbastanza. Perché dalle immagini della televisione la palla sembra passare solo dai suoi piedi.
Succede anche il 22 giugno, quando l’Argentina affronta l’Inghilterra nei quarti di finale. Una partita che assomiglia a una guerra. Nel vero senso della parola. Quattro anni prima l’Argentina era sul punto del tracollo. La crisi economica martoriava la popolazione che aveva iniziato a scendere in piazza. Al governo del generale Galtieri serviva un jolly, qualcosa che potesse riaccendere lo spirito nazionale. Così aveva deciso di dichiarare guerra all’Inghilterra e reclamare la sovranità argentina sulle isole Malvinas. Doveva essere una battaglia facile, si è trasformata in un lago di sangue. E la marina di Sua Maestà aveva vinto senza troppi problemi.
Quel quarto di finale si era trasformata ben presto in un caso diplomatico. Nei pub inglesi Maradona comincia a essere chiamato Mendez, come il generale che aveva comandato senza grande successo le truppe argentine. Alcuni deputati si spingono ancora più in là. Dichiarano che l’Inghilterra non dovrebbe neanche scendere in campo contro gli argentini. La Gran Bretagna si spacca a metà. “Da una parte ci sono quelli che ‘schifano’ gli orribili e arroganti nemici e quelli che vorrebbero ripetere sul campo di calcio il trionfo delle Falkland riportato dall’ammiraglio Sandy Wooward con l’affondamento del Belgrano”, racconta il corrispondente da Londra della Repubblica.
Il Sun, nel suo consueto stile, titola: “Vi veniamo ad acchiappare señores”. Da Buenos Aires arriva la proposta di rendere omaggio alle vittime della guerra. Ma non tutti sono d’accordo. Alcuni senatori peronisti chiedono addirittura al presidente Raul Alfonsin di ritirare la squadra dal Mondiale. Un gruppo di ex soldati afferma che invece l’Argentina deve scendere in campo con la maglia bianca in segno di pace e i calzoncini neri in segno di lutto. Maradona cerca di dribblare le polemiche. “Dobbiamo giocare con il pallone, non con il fucile”, dice. Solo che poi parte in contropiede. “No, non so parlare l’inglese. E anche se lo sapessi non lo parlerei“.
Di quella partita non si ricorda più nessuno. Perché tutti si ricordano solo dei due gol di Maradona. È il 51’ quando Valdano si allarga sulla destra del limite dell’area e riceve da Maradona. Solo che “El Poeta” manca l’aggancio e fa schizzare il pallone verso l’alto. Il difensore inglese che lo marca è sbilanciato ma decide di intervenire comunque con il sinistro. Ne esce un campanile altissimo che sembra piombare placido dalle parti di Shilton. “Quando ho visto che la palla andava su, su, su mi sono detto: ‘non la raggiungerò mai’. Così ho cominciato a ripetere ‘abbassati per favore, abbassati’ – racconta Maradona – è stato in quel momento che mi è venuta in mente un’idea: saltare di testa ma anche con la mano. Quando sono atterrato Shilton non aveva idea di dove fosse il pallone. Era nella rete”. Diego osserva il guardalinee correre verso il centro del campo. Il gol è valido.
“Quello stupido di Checho si è avvicinato e mi ha detto: ‘Ma hai segnato con la mano!’. Gli ho detto: ‘Chiudi la bocca stupido e abbracciami’. Così tutti hanno iniziato ad abbracciarmi. Poco dopo Valdano mi fa: ‘Non dirmi che l’hai segnato con la mano. A me devi dire la verità’. Gli rispondo: ‘Dopo ti spiego, Jorge. Ora smettila di rompermi le palle’”. Tre minuti dopo Maradona riceve palla a centrocampo, con una finta con la suola mette a sedere due centrocampisti inglesi, poi inizia a correre. È veloce e imprendibile, elegante e letale. Salta gli avversarsi uno dopo l’altro. Un dribbling, due dribbling, tre dribbling. Poi mette a sedere Shilton e segna il 2-0.
È il gol più bello della storia dei Mondiali, il gol che rende inutile la rete di Lineker. A fine partita i britannici sono sdegnati. Ripetono che, in fondo, “nessun inglese è mai stato battuto lealmente”. Diego, invece, inizia il suo show davanti alle telecamere. “Se ho segnato con la mano? È stata per metà la testa di Maradona e per metà la mano de Dios“. E ancora: “Il mio secondo gol è una meraviglia? Ma per favore, la sola meraviglia che conosco è Raquel Welch“. Ma il prossimo obiettivo è piuttosto chiaro: “Adesso voglio arrivare in finale, magari contro la Francia, così finalmente si vedrà se è più forte Platini o il sottoscritto”.
La storia andrà diversamente. L’Argentina arriverà in finale, ma contro la Germania Ovest. La Selección vincerà 3-2, ma Diego non troverà il gol. Poco male, perché era già diventato leggenda in quel pomeriggio del 22 giugno 1986. “Si è trattato di un gol assolutamente legittimo – dirà un anno dopo alla Bbc – perché convalidato dall’arbitro. Io non sono nessuno per dubitare dell’onestà dell’arbitro”. Nella sua autobiografia, invece, dirà: “La mano de dios? È stato come rubare il portafoglio agli inglesi“. Niente di più vero.
HomeSport Calcio
La mano de Dios, poi il gol più bello della storia dei Mondiali: 34 anni fa Maradona da calciatore divenne divinità
Il 22 giugno 1986 allo stadio Azteca l’Argentina affronta l’Inghilterra nei quarti di finale della Coppa del Mondo. Una partita che assomiglia a una guerra. Ma di quella gara non si ricorda più nessuno. Perché tutti si ricordano solo dei due gol di Maradona
Le tribune dello stadio Azteca di Città del Messico sono deserte. I tifosi se ne sono andati già da un pezzo. Hanno ingoiato i loro cori, hanno arrotolato le loro bandiere, hanno pulito via le lacrime di dolore e lasciato che quelle di gioia si asciugassero sul loro viso. Il mezzo al campo, in quel pomeriggio del 22 giugno 1986, c’è solo Diego Armando Maradona. E un centinaio di giornalisti. Penne in resta, si avvicinano fin quasi a schiacciarlo. E poi mitragliano una domanda dopo l’altra. “Dite che sono un dio? Io sono solo un calciatore – risponde infastidito – capitano della Nazionale argentina”. Mente, Diego Armando Maradona. E lo sa benissimo. Perché in quel pomeriggio di giugno ha abbandonato una volta per tutte la dimensione terrena per trasformasi in una divinità.
In verità il suo processo di beatificazione era iniziato tre anni prima. Nel gennaio del 1983 D10S è a Lloret de Mar, sulla Costa Brava spagnola. Corre e suda. Suda e corre. Sta cercando in tutti i modi di riprendersi dall’epatite che stava martoriando la sua prima stagione con la maglia del Barcellona. A un tratto suona il campanello. È Carlos Bilardo, il nuovo ct dell’Argentina. “Mi stavo preparando per andare a correre – racconta Maradona – il Narigon mi salutò, mi dette un bacio e mi disse: ‘Hai una felpa per me?’. Gliene detti una e mi chiese: ‘Posso venire a correre con te?’. La prima cosa che pensai fu esattamente la stessa che pensai molte altre volte, nel corso di tanti anni di rapporto: ‘Questo tipo è matto, questo tipo ha problemi di testa’”.
E invece l’allenatore-ginecologo aveva un piano ben preciso in mente: la sua Argentina deve fondarsi su un solo calciatore, un uomo che deve diventare icona, un’icona che deve diventare guida per una Nazione intera. E quell’uomo deve essere per forza Maradona. Durante ogni viaggio Diego comprava una fascia da capitano. Ne ha circa duecento, tutte chiuse in un cassetto. E ora è arrivato il momento di tirarne fuori una. Il numero dieci si cala nel ruolo, butta giù un piano. “La prima cosa che mi proposi fu di mostrare qualcosa, una coscienza: giocare per la Seleccion doveva diventare la cosa più importante del mondo”. Così è. L’Argentina si qualifica con qualche difficoltà per i Mondiali messicani del 1986. La squadra fatica ad assorbire le richieste di Bilardo e ad attrarre le simpatie dei tifosi. “Più che entusiasmo, suscitavamo rabbia“, dice Maradona.
È comunque benzina, carburante buono per far andare a mille le gambe dei calciatori e per far palpitare i loro cuori. In Messico le cose cominciano a cambiare. L’Argentina vince il suo girone (composto da Italia, Bulgaria e Corea del Sud), poi agli ottavi batte 1-0 l’Uruguay. Diego fatica. Più fuori che dentro il campo, in verità. Si lamenta per gli orari delle partite che costringono i calciatori a giocare sotto il sole infuocato di mezzogiorno. Un caldo che inzuppa le magliette e svuota i polmoni. “Prima delle partite io andavo sempre a dormire tardi e mi svegliavo alle undici – racconta nella sua biografia – invece per giocare a mezzogiorno dovevo svegliarmi alle 8 del mattino”. Anche sua madre si preoccupa. Gli telefona e gli chiede se mangia abbastanza, se si riposa abbastanza. Perché dalle immagini della televisione la palla sembra passare solo dai suoi piedi.
Succede anche il 22 giugno, quando l’Argentina affronta l’Inghilterra nei quarti di finale. Una partita che assomiglia a una guerra. Nel vero senso della parola. Quattro anni prima l’Argentina era sul punto del tracollo. La crisi economica martoriava la popolazione che aveva iniziato a scendere in piazza. Al governo del generale Galtieri serviva un jolly, qualcosa che potesse riaccendere lo spirito nazionale. Così aveva deciso di dichiarare guerra all’Inghilterra e reclamare la sovranità argentina sulle isole Malvinas. Doveva essere una battaglia facile, si è trasformata in un lago di sangue. E la marina di Sua Maestà aveva vinto senza troppi problemi.
Quel quarto di finale si era trasformata ben presto in un caso diplomatico. Nei pub inglesi Maradona comincia a essere chiamato Mendez, come il generale che aveva comandato senza grande successo le truppe argentine. Alcuni deputati si spingono ancora più in là. Dichiarano che l’Inghilterra non dovrebbe neanche scendere in campo contro gli argentini. La Gran Bretagna si spacca a metà. “Da una parte ci sono quelli che ‘schifano’ gli orribili e arroganti nemici e quelli che vorrebbero ripetere sul campo di calcio il trionfo delle Falkland riportato dall’ammiraglio Sandy Wooward con l’affondamento del Belgrano”, racconta il corrispondente da Londra della Repubblica.
Il Sun, nel suo consueto stile, titola: “Vi veniamo ad acchiappare señores”. Da Buenos Aires arriva la proposta di rendere omaggio alle vittime della guerra. Ma non tutti sono d’accordo. Alcuni senatori peronisti chiedono addirittura al presidente Raul Alfonsin di ritirare la squadra dal Mondiale. Un gruppo di ex soldati afferma che invece l’Argentina deve scendere in campo con la maglia bianca in segno di pace e i calzoncini neri in segno di lutto. Maradona cerca di dribblare le polemiche. “Dobbiamo giocare con il pallone, non con il fucile”, dice. Solo che poi parte in contropiede. “No, non so parlare l’inglese. E anche se lo sapessi non lo parlerei“.
Di quella partita non si ricorda più nessuno. Perché tutti si ricordano solo dei due gol di Maradona. È il 51’ quando Valdano si allarga sulla destra del limite dell’area e riceve da Maradona. Solo che “El Poeta” manca l’aggancio e fa schizzare il pallone verso l’alto. Il difensore inglese che lo marca è sbilanciato ma decide di intervenire comunque con il sinistro. Ne esce un campanile altissimo che sembra piombare placido dalle parti di Shilton. “Quando ho visto che la palla andava su, su, su mi sono detto: ‘non la raggiungerò mai’. Così ho cominciato a ripetere ‘abbassati per favore, abbassati’ – racconta Maradona – è stato in quel momento che mi è venuta in mente un’idea: saltare di testa ma anche con la mano. Quando sono atterrato Shilton non aveva idea di dove fosse il pallone. Era nella rete”. Diego osserva il guardalinee correre verso il centro del campo. Il gol è valido.
“Quello stupido di Checho si è avvicinato e mi ha detto: ‘Ma hai segnato con la mano!’. Gli ho detto: ‘Chiudi la bocca stupido e abbracciami’. Così tutti hanno iniziato ad abbracciarmi. Poco dopo Valdano mi fa: ‘Non dirmi che l’hai segnato con la mano. A me devi dire la verità’. Gli rispondo: ‘Dopo ti spiego, Jorge. Ora smettila di rompermi le palle’”. Tre minuti dopo Maradona riceve palla a centrocampo, con una finta con la suola mette a sedere due centrocampisti inglesi, poi inizia a correre. È veloce e imprendibile, elegante e letale. Salta gli avversarsi uno dopo l’altro. Un dribbling, due dribbling, tre dribbling. Poi mette a sedere Shilton e segna il 2-0.
È il gol più bello della storia dei Mondiali, il gol che rende inutile la rete di Lineker. A fine partita i britannici sono sdegnati. Ripetono che, in fondo, “nessun inglese è mai stato battuto lealmente”. Diego, invece, inizia il suo show davanti alle telecamere. “Se ho segnato con la mano? È stata per metà la testa di Maradona e per metà la mano de Dios“. E ancora: “Il mio secondo gol è una meraviglia? Ma per favore, la sola meraviglia che conosco è Raquel Welch“. Ma il prossimo obiettivo è piuttosto chiaro: “Adesso voglio arrivare in finale, magari contro la Francia, così finalmente si vedrà se è più forte Platini o il sottoscritto”.
La storia andrà diversamente. L’Argentina arriverà in finale, ma contro la Germania Ovest. La Selección vincerà 3-2, ma Diego non troverà il gol. Poco male, perché era già diventato leggenda in quel pomeriggio del 22 giugno 1986. “Si è trattato di un gol assolutamente legittimo – dirà un anno dopo alla Bbc – perché convalidato dall’arbitro. Io non sono nessuno per dubitare dell’onestà dell’arbitro”. Nella sua autobiografia, invece, dirà: “La mano de dios? È stato come rubare il portafoglio agli inglesi“. Niente di più vero.
Articolo Precedente
Serie A, il campionato post coronavirus è una grande amichevole estiva
Articolo Successivo
Pierino Prati, morto a 73 anni l’ex attaccante di Milan, Roma, Fiorentina e nazionale
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Ultimi articoli di FQ Sport
Sport News
Stop agli investimenti nel Psg: il Qatar avverte Al-Khelaïfi dopo la sua incriminazione nel caso Lagardère. “Stufi di questi soprusi”
Calcio
Pareggio nel recupero, rissa finale e invasione di campo: succede di tutto nell’ultimo storico derby di Liverpool a Goodison Park – Video
Tennis
“Sospensione di uno o due anni per Sinner”: la richiesta della Wada sul caso Clostebol
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - Il Milleproroghe è un provvedimento routinario, in teoria nell'esame tutto doveva andare liscio. Invece l'iter di questo provvedimento è stato un disastro, la maggioranza l'ha gestito in modo circense, dando prova di dilettantismo sconcertante". Lo ha detto la senatrice Alessandra Maiorino, vice presidente del gruppo M5S al Senato, nella dichiarazione di voto sul Milleproroghe.
"Già con l'arrivo degli emendamenti abbiamo visto il panico nel centrodestra. Poi è arrivata la serie di emendamenti dei relatori, o meglio del governo sotto mentite spoglie, a partire da quelli celebri sulla rottamazione delle cartelle. Ovviamente l'unica preoccupazione della maggioranza, a fronte di 100 miliardi di cartelle non pagate, è stata solo quella di aiutare chi non paga. Esattamente come hanno fatto a favore dei no vax, sbeffeggiando chi sotto il Covid ha rispettato le regole. In corso d'opera abbiamo capito che l'idea di mettere tre relatori, uno per ogni partito di maggioranza, serviva a consentire loro di marcarsi a vicenda, di bloccare gli uni gli sgambetti degli altri. Uno scenario surreale! Finale della farsa poi è stato il voto di un emendamento di maggioranza ignoto ai relatori e una ignobile gazzarra notturna scoppiata tra i partiti di maggioranza. Non avevamo mai visto tanto dilettantismo in Parlamento".
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Il decreto Milleproroghe rappresenta una sfida importante, un provvedimento cui abbiamo dato un significato politico, un’anima. L’azione di questo governo punta a mettere in campo riforme e norme strutturali ma esistono anche pilastri meno visibili che hanno comunque l’obiettivo finale della crescita delle imprese e della nostra economia, di sostenere il sistema Italia nel suo complesso. Ecco perché col decreto Milleproroghe abbiamo provveduto ad estendere o a sospendere l’efficacia di alcuni provvedimenti con lo scopo di semplificare e rendere più snella la nostra burocrazia, sempre con l’obiettivo dichiarato della crescita. Fra questi norme sulle Forze dell’ordine e sui Vigili del Fuoco, sostegno ai Comuni e all’edilizia, nel campo sociale e sanitario come in quello dell’industria e della pesca e sul contrasto all’evasione fiscale. Più di 300 emendamenti approvati, tra cui anche quelli dell’opposizione, al fine di perseguire, con questo esecutivo, la finalità di fornire alla nostra Nazione gli strumenti per crescere e per questo il voto di Fratelli d’Italia è convintamente a favore”. Lo dichiara in aula il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo.
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Dico al ministro Crosetto che l’aumento delle spese per armamenti, addirittura fino al 3%, ruba il futuro ai nostri figli. Ruba risorse alla sanità, alla scuola, ai trasporti. L’aumento delle spese per le armi non ci renderà più sicuri, ma alimenterà conflitti e guerre, come la storia dimostra”. Così Angelo Bonelli, deputato di AVS e co-portavoce di Europa Verde, in merito alle dichiarazioni di Crosetto sull'aumento delle spese militari.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Il problema della situazione carceraria nel Paese è un problema che ogni giorno ci tocca da vicino, stiamo gia' predisponendo le dovute soluzioni. Abbiamo gia' definito il piano carceri e il commissario straordinario". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Criticità nel disegno di legge costituzionale non ve ne sono tali da alterare il testo, ma sarà seguito da una serie di leggi ordinarie. Per esempio, manca nella disegno di legge costituzionale la riserva per le quote cosiddette rosa, ma questo lo metteremo nelle leggi di attuazione che saranno leggi ordinarie. Anche il sistema del sorteggio potrà essere meglio definito. Ma una cosa e' certa: questa legge costituzionale non si modifica". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo, parlando delle dichiarazioni del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che ieri, aveva parlato dei "punti di criticità della riforma del Csm" sui quali si e' appuntata anche l'attenzione della Commissione Ue, aveva sottolineato la necessita' di "un'approfondita riflessione.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Oggi in Turchia, parlando con il mio omologo, il ministro di giustizia turco, quando ho detto che probabilmente i magistrati italiani faranno uno sciopero, lui è rimasto sorpreso e mi ha domandato 'ma è legale?'. Se i magistrati vogliono fare lo sciopero che lo facciano, ma quello che è certo e che, senza alcun dubbio, noi andremo avanti perché e' un nostro impegno verso gli elettori". Lo ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio intervenendo in vdieocollegamento di ritorno dalla Turchia alla Giornata dell'orgoglio dell'appartenenza degli avvocati a Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - La separazione delle carriere dei magistrati "è un dovere verso elettorato perché lo avevamo promesso nel nostro programma e questo faremo. Il nostro e' un vincolo politico verso l'elettorato". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento, di ritorno dalla Turchia, alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo. "Io sto girando un po' dappertutto per redigere protocolli - ha proseguito il ministro -, e ogni qualvolta parliamo di separazione carriere ci guardano con un occhio perplesso perché in tutti gli ordinamenti del mondo questo è normale".