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di Giuseppe Florio

C’è stato un momento in cui si è sentito, da più voci, parlare della riduzione dell’orario di lavoro. Poi più niente. Eppure credo sia questo un argomento che andrebbe affrontato con maggior determinazione e concretezza specialmente ora che siamo in piena crisi economica. Siamo tutti consapevoli che alla fine della pandemia, speriamo il più presto possibile, milioni di lavoratori non avranno più un lavoro. Perciò ritengo che sulla riduzione dell’orario di lavoro bisognerebbe insistere e approfondire lo studio.

È da tempo che personalmente ho affrontato l’argomento con un risultato che dal punto di vista umano mira a migliorare la qualità della vita dei lavoratori e ritengo fattibile dal punto di vista economico. La riforma che mi permetto di proporre mira principalmente a migliorare la qualità della vita dei cittadini e restituire dignità ai lavoratori senza gravare lo Stato, le imprese e i lavoratori di ulteriori costi.

Attraverso diverse operazioni, sono giunto a elaborare una ipotesi di riforma dei tempi del lavoro che non fa aumentare i costi di produzione, restando quindi competitivi sul mercato. Essa riguarda la “riduzione dell’orario di lavoro da 8 a 6 ore giornaliere senza oneri per l’impresa e senza riduzione del salario netto per il lavoratore”.

In breve, il tutto si fonda su una riduzione dell’orario di lavoro da 8 a 6 ore al giorno prevedendo quindi minimo due turni di lavoro al giorno, senza obbligo; da un lato una riduzione dei contributi previdenziali e fiscali e, dall’altro, un leggero aumento del salario lordo per il lavoratore. Naturalmente i costi dei due turni di lavoro di sei ore vanno confrontati con una giornata attuale di 8 ore più 4 ore di straordinario.

Nel complesso, la proposta lascia invariate le entrate per lo Stato perché essa mira ad aumentare l’occupazione e quindi la platea dei contribuenti; non fa aumentare i costi per l’impresa, anzi mira a diminuire i suoi costi marginali di produzione rendendo l’impresa più competitiva; infine lascia invariato il salario netto del lavoratore.

Naturalmente la proposta, nella sua semplicità, per raggiungere i risultati previsti necessita di alcuni accorgimenti che con un esempio spiego – qui non ho lo spazio per presentarlo – precisando che il procedimento adottato vale con qualsiasi salario preso in considerazione. Dal più basso al più alto. Credo, comunque, che sia più interessante il contenuto della proposta che lo stesso calcolo da cui si evince la fattibilità.

Dalla proposta avanzata a trarre maggior vantaggio sarà il lavoratore perché pur percependo lo stesso salario netto sarà meno stressato, più soddisfatto del suo tempo libero, meglio realizzato nelle sue aspirazioni – proprio perché con l’aumento dell’offerta del lavoro avrà la possibilità di scegliere il lavoro più confacente alle sue attitudini, non dovrà più mendicare ciò che gli spetta di diritto e infine avrà maggiore potere contrattuale.

La proposta sarà vantaggiosa anche per l’impresa, in quanto essa aumenterà la produzione perché saranno maggiormente sfruttate le macchine e diminuiranno i suoi costi fissi. Infine sono sicuro che da questa nuova organizzazione del lavoro, anche se si riducono i prelievi contributivi e fiscali, a trarre vantaggio sarà lo stesso Stato perché, oltre ad aumentare le entrate, con l’aumento dell’occupazione diminuirebbero i costi relativi alla disoccupazione, alla cassa integrazione, alla mobilità, alle malattie da lavoro, agli infortuni sul lavoro.

Naturalmente non sono in grado di quantificare i risparmi dello Stato come non sono in grado di quantificare il benessere che deriverebbe al lavoratore da questo nuovo sistema, ma è indubitabile che essi ci siano. Basti pensare alla certezza del lavoro e alla sicurezza del proprio futuro per rendersi conto dei grandi benefici.

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