Si tratta di operazioni effettuate dalla banca di Rocca Salimbeni tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite dovute all’acquisizione di Antonveneta e che fin dall’inizio - come un "peccato originale" scrivono gli 'ermellini della III sezione civile - era chiaro che sarebbero state dannose per l'istituto
In attesa che venga celebrato il processo d’appello per quanto riguarda il procedimento penale, arriva una sentenza definitiva nel civile per l’operazione Santorini, l’insieme di irregolarità gestionali e di investimento che ha mandato in default il Monte dei Paschi. È stata infatti confermata dalla Cassazione la condanna risarcitoria a carico dell’ex direttore generale del Mps, Antonio Vigni, che dovrà pagare all’istituto bancario 50 milioni di euro per “responsabilità di mala gestio ai danni del patrimonio sociale” commessa “nell’esercizio delle sue funzioni” in riferimento a “una serie di operazioni estremamente rischiose definite nel complesso ‘Operazione Santorinì”. Si tratta di operazioni effettuate dalla banca di Rocca Salimbeni tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite dovute all’acquisizione di Antonveneta e che fin dall’inizio – come un “peccato originale” scrivono gli ermellini – era chiaro che sarebbero state dannose per l’istituto, afferma il verdetto 12108 della Terza sezione civile.
Si tratta di 47 pagine depositate oggi e relative all’udienza dello scorso due dicembre della quale non era noto il dispositivo. Con questa decisione, la Suprema Corte ha respinto i tredici motivi di ricorso presentati dalla difesa di Vigni contro la condanna a risarcire Mps emessa dalla Corte di appello di Firenze il nove gennaio 2018. All’ex dg si addebita, ricordano i supremi giudici, di “non aver comunicato al cda le operazioni Santorini, come sarebbe stato doveroso, in ragione della rilevanza che esse avevano” e anche il fatto di non averle “correttamente appostate nel bilancio chiuso al 2008”, operazioni sottolinea la Cassazione “rivelatesi rovinose per Mps”.
Tra i motivi per cui Vigni omise le comunicazioni, gli ‘ermellini mettono in evidenza anche il fatto che farlo avrebbe avuto una “incidenza negativa anche sul suo bonus annuale e sui dividendi”. Complessivamente la perdita fu di 438 milioni di euro alla quale se ne devono aggiungere altri 70, calcola la Cassazione che ricorda come in primo grado la condanna al risarcimento fu ben più salata per l’ex dg e pari a 244 milioni di euro. Ridotti in appello perché si tenne conto della risoluzione amichevole dei contratti alla quale partecipò anche Deutsche Bank.