E alla fine l’abbiamo fatta, questa maturità strana. Il più, bisogna ammetterlo, è stato il primo giorno. Intanto l’emozione iniziale, perché salvo sporadiche incursioni con la tuta da palombaro per recuperare un libro o un documento, io a scuola non ci ero più tornata e comunque non al mattino presto. Trovarsi lì davanti quando non sono ancora le otto e l’aria ormai estiva profuma di fiori è stato un bel momento.
Eravamo in fila, un po’ impacciati, un po’ goffi con le mascherine, un po’ tardoadolescenti a fare le battute idiote, perché chi arrivava diceva subito “ehi, ma qui c’è un assembramento!” e tutti a protestare “no, guarda siamo socialmente distanziati!”, e poi via a spostarci ancora di un passo o due come fosse un ballo di gruppo sulla spiaggia.
Il termometro, il gel, l’autocertificazione (oh, mi mancava uscire con l’autocertificazione, senza ero proprio a disagio). E una volta dentro, l’effetto sorpresa: adesivi per terra, frecce, catenelle per indicare dove non si può più passare. Si entra di qui, si esce di là. Sembrava un po’ un aeroporto e tutti a cercare il nostro terminal, la nostra aula, guardando i fogli con i nomi delle commissioni scritti in grande. Vagavamo leggermente stupiti, un po’ di esser lì, un po’ di vedere la scuola così, perché non c’è niente che ti spieghi il mondo che viviamo meglio di una scuola; a volte te lo spiega soltanto guardandola.
Non c’è il solito via vai di maturandi accompagnati, non c’è il bar aperto, non c’è niente più del necessario, ma se c’è un’altra cosa che la scuola insegna, anche solo guardandola, è ad adattarsi. Passate le prime ore, usciamo dall’aula per la sanificazione, ci igienizziamo le mani, non facciamo nemmeno più le battute cretine perché ok, va bene, si fa così. Parliamo a voce alta. Ché sussurrare dietro la mascherina senza che l’altro possa leggere il labiale non funziona: abbiamo scoperto che tutti quanti un po’ ci leggiamo la bocca, chi l’avrebbe mai pensato, quindi tocca tararsi qualche decibel più su, ma ci sintonizziamo subito.
Ascoltiamo i candidati. Arrivano puntuali, loro, vestiti per bene, con camicie a maniche lunghe che sfidano il caldo, pantaloni senza strappi, capelli lavati di fresco, qualche giacca coraggiosa. Arrivano puntuali e seguono la trafila, né spaesati né terrorizzati, ansiosi il giusto e, sarò romantica io, qualcuno un po’ felice di vederci. Hanno un unico accompagnatore e l’hanno scelto con cura: l’amico fidato, l’amore dei diciott’anni, a volte una mamma orgogliosa.
Sanno. Parlano, si impappinano, si riprendono, sparano tutto d’un fiato o ripetono a memoria, ragionano e argomentano o vagano con lo sguardo cercando una risposta, insomma si comportano come tutti i maturandi hanno sempre fatto all’esame. Si alzano un po’ impacciati, vanno verso il Presidente, qualcuno abbozza un “mi spiace non poterle stringere la mano”, qualcuno tocca il gomito facendo “tafetà” come in Frankenstein Jr. (io questi li avrei promossi d’ufficio), qualcuno esce deciso e non chiude la porta per la fretta.
Quando sono uscita da scuola, in una di queste giornate di orali, ho trovato gli alunni di una classe avuta e perduta, una classe che ho lasciato per strada mio malgrado per le ciniche composizioni delle cattedre e che non ho potuto accompagnare fino alla fine. “Proooooof!”. L’urlo di battaglia al quale mi volto sempre. Attraverso la strada e li vedo lì, dopo mesi. Cresciuti, cambiati, barbuti e baffuti, pettinati e ripuliti. Vorrei baciarli tutti, non posso.
Loro, loro che non rispettavano una regola senza prima protestare e contestarla, loro che tornavano in ritardo dall’intervallo, che non avevano mai il materiale per fare ginnastica o laboratorio, che non portavano mai la giustificazione, si sono messi a semicerchio. Hanno tutti la mascherina, stanno lontani tra loro.
Mi salutano, mi chiedono, mi raccontano e si raccontano e mi fanno sentire di nuovo in quella classe chiassosa dove stavano spalmati sui banchi a far finta di ascoltare la spiegazione. E anche quest’anno, a scuola, ho imparato una cosa io, e cioè che si può stare in mezzo a un semicerchio di persone lontane un metro e sentirsi lo stesso stretti in un abbraccio.
Valentina Petri
Professoressa di italiano, blogger e autrice di "Portami il Diario"
Scuola - 23 Giugno 2020
Alla Maturità come in aeroporto: si entra di qui, si esce di là. Ma ho imparato qualcosa di importante
E alla fine l’abbiamo fatta, questa maturità strana. Il più, bisogna ammetterlo, è stato il primo giorno. Intanto l’emozione iniziale, perché salvo sporadiche incursioni con la tuta da palombaro per recuperare un libro o un documento, io a scuola non ci ero più tornata e comunque non al mattino presto. Trovarsi lì davanti quando non sono ancora le otto e l’aria ormai estiva profuma di fiori è stato un bel momento.
Eravamo in fila, un po’ impacciati, un po’ goffi con le mascherine, un po’ tardoadolescenti a fare le battute idiote, perché chi arrivava diceva subito “ehi, ma qui c’è un assembramento!” e tutti a protestare “no, guarda siamo socialmente distanziati!”, e poi via a spostarci ancora di un passo o due come fosse un ballo di gruppo sulla spiaggia.
Il termometro, il gel, l’autocertificazione (oh, mi mancava uscire con l’autocertificazione, senza ero proprio a disagio). E una volta dentro, l’effetto sorpresa: adesivi per terra, frecce, catenelle per indicare dove non si può più passare. Si entra di qui, si esce di là. Sembrava un po’ un aeroporto e tutti a cercare il nostro terminal, la nostra aula, guardando i fogli con i nomi delle commissioni scritti in grande. Vagavamo leggermente stupiti, un po’ di esser lì, un po’ di vedere la scuola così, perché non c’è niente che ti spieghi il mondo che viviamo meglio di una scuola; a volte te lo spiega soltanto guardandola.
Non c’è il solito via vai di maturandi accompagnati, non c’è il bar aperto, non c’è niente più del necessario, ma se c’è un’altra cosa che la scuola insegna, anche solo guardandola, è ad adattarsi. Passate le prime ore, usciamo dall’aula per la sanificazione, ci igienizziamo le mani, non facciamo nemmeno più le battute cretine perché ok, va bene, si fa così. Parliamo a voce alta. Ché sussurrare dietro la mascherina senza che l’altro possa leggere il labiale non funziona: abbiamo scoperto che tutti quanti un po’ ci leggiamo la bocca, chi l’avrebbe mai pensato, quindi tocca tararsi qualche decibel più su, ma ci sintonizziamo subito.
Ascoltiamo i candidati. Arrivano puntuali, loro, vestiti per bene, con camicie a maniche lunghe che sfidano il caldo, pantaloni senza strappi, capelli lavati di fresco, qualche giacca coraggiosa. Arrivano puntuali e seguono la trafila, né spaesati né terrorizzati, ansiosi il giusto e, sarò romantica io, qualcuno un po’ felice di vederci. Hanno un unico accompagnatore e l’hanno scelto con cura: l’amico fidato, l’amore dei diciott’anni, a volte una mamma orgogliosa.
Sanno. Parlano, si impappinano, si riprendono, sparano tutto d’un fiato o ripetono a memoria, ragionano e argomentano o vagano con lo sguardo cercando una risposta, insomma si comportano come tutti i maturandi hanno sempre fatto all’esame. Si alzano un po’ impacciati, vanno verso il Presidente, qualcuno abbozza un “mi spiace non poterle stringere la mano”, qualcuno tocca il gomito facendo “tafetà” come in Frankenstein Jr. (io questi li avrei promossi d’ufficio), qualcuno esce deciso e non chiude la porta per la fretta.
Quando sono uscita da scuola, in una di queste giornate di orali, ho trovato gli alunni di una classe avuta e perduta, una classe che ho lasciato per strada mio malgrado per le ciniche composizioni delle cattedre e che non ho potuto accompagnare fino alla fine. “Proooooof!”. L’urlo di battaglia al quale mi volto sempre. Attraverso la strada e li vedo lì, dopo mesi. Cresciuti, cambiati, barbuti e baffuti, pettinati e ripuliti. Vorrei baciarli tutti, non posso.
Loro, loro che non rispettavano una regola senza prima protestare e contestarla, loro che tornavano in ritardo dall’intervallo, che non avevano mai il materiale per fare ginnastica o laboratorio, che non portavano mai la giustificazione, si sono messi a semicerchio. Hanno tutti la mascherina, stanno lontani tra loro.
Mi salutano, mi chiedono, mi raccontano e si raccontano e mi fanno sentire di nuovo in quella classe chiassosa dove stavano spalmati sui banchi a far finta di ascoltare la spiegazione. E anche quest’anno, a scuola, ho imparato una cosa io, e cioè che si può stare in mezzo a un semicerchio di persone lontane un metro e sentirsi lo stesso stretti in un abbraccio.
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Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".