Appena è uscito dal carcere, un anno fa, ha ripreso in mano il controllo del mandamento, quello di San Lorenzo a Palermo: così il boss di mafia Giulio Caporrimo torna in cella per la terza volta in tre anni. E’ lui – che durante la detenzione nel carcere di Parma diventò anche confidente di Massimo Carminati – la figura centrale dell’operazione antimafia condotta dai carabinieri e coordinata dalla Dda che ha portato in carcere 9 persone (più una ai domiciliari), accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso ed estorsioni aggravate, tra le altre cose. L’inchiesta di un pool di pm coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca si è concentrata in particolare sui mandamenti di San Lorenzo e di Tommaso Natale.
L’indagine è la prosecuzione di altre tre operazioni che dal 2011 al 2017 avevano portato in carcere capi e gregari del mandamento con Francesco Paolo Liga (figlio dello storico boss Salvatore Liga, detto ‘u Tatenuddu), poi affiancato, a partire dalla sua scarcerazione avvenuta nell’ottobre 2015, da Giuseppe Biondino (figlio di Salvatore, l’autista di Totò Riina), arrestato di nuovo nel gennaio 2018. L’operazione “Teneo” prende il via dal controllo delle attività di Vincenzo Taormina, imprenditore del settore movimento terra, ritenuto particolarmente vicino a Francesco Paolo Liga reggente non sempre ben visto dagli affiliati. Questi ultimi, secondo gli investigatori, riponevano grandi aspettative nella scarcerazione nel febbraio 2017 di Caporrimo e poi di Nunzio Serio e di altri affiliati.
I due – Caporrimo e Serio – erano venerati e ossequiati per la capacità di comando, il carisma e l’influenza nella dinamiche mafiose (“l’hai sentita la buona notizia? E’ uscito Giulio, è uscito“). Gli equilibri mafiosi si sarebbero così spostati immediatamente in favore dei due boss, con un evidente ridimensionamento di Francesco Paolo Liga, senza che questi venisse comunque esautorato.
Le indagini dei carabinieri sono scattate in seguito alla denuncia di due imprenditori edili che si sono ribellati al pizzo. L’inchiesta ha ricostruito 7 casi di estorsione (consumata o tentata), due dei quali denunciati dalle vittime.
Tra questi il tentativo di Taormina, con la complicità di Francesco Di Noto, di imporre la fornitura di container per sabbia a un imprenditore edile, per poi costringerlo al pagamento di un’estorsione di mille euro per i lavori di ristrutturazione di uno stabile a Sferracavallo. Una tentata estorsione da parte di Liga e di Taormina nei confronti di un altro imprenditore edile affinché affidasse a un soggetto a loro vicino la realizzazione degli impianti di condizionamento all’interno di un cantiere aperto in via Partanna Mondello di Palermo.
Una seconda estorsione condotta da Liga e da Taormina ai danni di un imprenditore edile, la cui impresa era impegnata in lavori di ristrutturazione all’interno di un residence ubicato in via Tommaso Natale, con la complicità e la mediazione del portiere, Giuseppe Enea. Ancora un’altra estorsione commessa da Andrea Bruno che avrebbe costretto un imprenditore edile a rinunciare ai lavori di ristrutturazione di un immobile, nella zona della Marinella di Palermo, poi assegnati a una ditta a lui riconducibile. Il tentativo di Baldassare Migliore, imprenditore edile ed esponente della famiglia mafiosa di Passo di Rigano di bloccare l’avvio dei lavori di scavo nella zona di via Michelangelo di Palermo da parte di una ditta edile, il cui titolare avrebbe dovuto cercare dapprima un contatto con gli esponenti mafiosi del territorio per la cosiddetta “messa a posto”. Infine, il furto aggravato commesso da Taormina, quale forma di avvertimento e di intimidazione mafiosa, di un container collocato dalla vittima in via Plauto, e un’altra estorsione commessa da Taormina ai danni di un imprenditore edile, la cui impresa aveva aperto un cantiere in via Porta di Mare.