Tempo fa scrissi un articolo sul Fatto dal titolo La magia di Linate. Raccontavo la mia pruriginosa sensazione davanti alla popolazione che al mattino frequenta l’Aeroporto di Milano per imbarcarsi. A ben osservare, a quell’ora la maggioranza dei partenti è costituita da trentenni/cinquantenni con la ventiquattrore.
Fu una considerazione che mi colpì per anni. Sì, la ventiquattrore: ai miei occhi significava che questa frettolosa umanità partiva per qualche destinazione europea programmando il rientro a Milano entro sera.
Purtroppo però la mia immaginazione non si fermava lì, andava oltre e mi ricordavo di parecchi miei clienti imprenditori, sempre affannati dalla preoccupazione di ‘portare a casa ordini’, l’ansia da back-log. Spada di Damocle sempre pendente sul capo di quegli imprenditori monocratici che costituiscono la maggioranza della nostra popolazione imprenditoriale.
Spesso quei personaggi con la ventiquattrore sono gli imprenditori stessi: vanno all’estero per prendere ordini più che per ‘fare mercato’. E spesso, come si dice in gergo, prendono ordini con le mani di dietro: troppo grande è, normalmente, la differenza del potere contrattuale con parecchi dei clienti europei, specie quelli tedeschi.
Nella mia attività ebbi la fortuna di farmi un’esperienza non comune nel mondo del marketing (strategico e operativo) di una rilevante acciaieria nazionale, decisamente all’avanguardia. Una grossa fortuna: perché per i prodotti siderurgici e metallurgici il marketing è cosa del tutto diversa da quella delle attività parallele necessarie per le saponette o per i biscotti per il cane. Fu una visione ad ampio spettro, nazionale ed europea, che mi portò a contatto con diversi ‘mondi’ industriali molto particolari, dove valeva molto di più la ‘visione strategica’ e la ‘freschezza del pensiero’ che non le formulette statistiche del marketing per beni di largo consumo.
E imparai una cosa fondamentale: che il marketing è una vera e propria scienza che punta a far vivere con profitto un’impresa sia nel Breve Termine (anno sociale) che nel Medio Termine. Nel mondo delle materie prime e dei prodotti industriali ‘marketing’ significa tutto tranne che strumento per aumentare le vendite. Un buon marketing è la garanzia di una ricaduta in termini di selling ricca e regolare nel tempo. E’ sostanzialmente la chiave per andare a centrare il (o i) ‘prodotto-mercati’ giusti per garantirsi presente e futuro.
Ora, io non conoscevo quei giovanotti (e anche signorotti un poco panciuti) che vedevo a Linate al mattino presto, però mi era facile immaginare che la maggioranza doveva appartenere al mondo delle attività industriali manifatturiere, ormai purtroppo quasi sempre collocate nell’ambito della cosiddetta ‘subfornitura’. E qui casca l’asino.
Perché ‘subfornitura’ è un termine che si adatta molto bene alla nostra superframmentata industria manifatturiera: povera di capitali propri, povera di cultura aziendalistica, preda della cultura amministrativa che non coincide, ahinoi, con la necessaria cultura manageriale. Che forza volete che abbia un imprenditore nostro medio quando va a trattare con Volkswagen? O con Opel? Non ve lo vedete in posizione ubbidiente con le mani di dietro in attesa di portare a casa l’ordine?
Parlavo con un vecchio amico, consulente d’azienda (formato all’università ma non molto ‘in corpore vili’), di questo problema, cercando di evidenziare il generale stato di inferiorità della nostra industria manifatturiera ormai prima del supporto del made in Italy, del design italiano, dell’estro nostro: questi, quasi piccato, mi rispose che sottovalutavo la quality di tanti nostri prodotti, il service che le nostre aziende possono offrire: parole, parole, parole cantava Mina…
Questo mondo vive all’interno di una dinamica evolutiva implacabile e inarrestabile: basta vedere che cosa è successo in vent’anni nei cosiddetti paesi emergenti: sono cresciuti. La Germania si rivolge alla Polonia come da noi; la Romania si trova qua e là come fornitore delle industrie automobilistiche: ‘panta rei’ diceva il buon Eraclito.
Sono le stesse case clienti che spingono questi Paesi a crescere: è la dinamica del ‘mercato della subfornitura’, che in realtà è il mercato meno remunerativo, meno fidelizzabile e più controllabile: in poche parole è il mercato più difficile.
Per questo è assolutamente necessario che il nostro Paese esca da questo torpore industriale: occorre prepararsi ad una nuova ‘politica manifatturiera italiana’ che possa far uscire, almeno in parte, il nostro paese da questo incredibile stato di sudditanza nel quale una colpevole classe dirigente l’ha ficcato.
Qui i politici non c’entrano per nulla: è una ricaduta di una cultura economica non-manageriale ma amministrativa, non industriale ma finanziaria, e di una classe imprenditoriale che ha troppo spesso rinunciato a parlarsi, a parlare col sistema-paese, a immaginare futuri al di fuori dei soliti abusati schemi operativi che ci hanno condotto in questo vicolo pericoloso.