Visto che tra i primi, proprio qui avevamo messo in luce i limiti della didattica a distanza, è ora forse il caso di riaprire la questione. Con il lockdown infatti il dibattito sulla sostituzione delle lezioni in presenza è salito di tono, è uscito dal recinto degli specialisti, si è esteso a nuovi aspetti, prevalentemente critici, ha scatenato la diffusa propensione agli appelli pubblici, da parte degli insegnanti delle scuole e dei docenti universitari. Perfino Ernesto Galli Della Loggia è sceso in campo, anche la Ministra ha detto la sua, salvo come al solito non fare molto di concreto. Molte critiche anche esagerate, mentre sul piano dei fatti siamo ancora in emergenza.

Prima di tutto una considerazione generale. La diffusione della didattica a distanza ha posto un problema molto serio di disponibilità tecnologica e di partecipazione, problema che diventa ancora più grave, in quanto si trasforma rapidamente in una questione di rispetto per la Costituzione, che assegna alla Repubblica l’obbligo di eliminare ogni barriera al pieno esercizio di alcuni diritti individuali fondamentali. Non tutti gli studenti posseggono la disponibilità di attrezzature sufficienti per accedervi, non tutti gli studenti hanno accesso a connessioni sufficientemente veloci da consentire l’utilizzo della didattica a distanza.

Solo questo fatto avrebbe dovuto obbligare a interventi concreti e immediati. Soldi per le vacanze, ma per la didattica a distanza nulla. In realtà, la didattica in generale non è mai stata troppo considerata all’interno dell’Università. I criteri e i modelli ministeriali di valutazione della stessa vanno esattamente in direzione contraria a quella del miglioramento della didattica. I docenti (contrariamente al loro nome) poi non sono affatto giudicati per le loro capacità di insegnamento, per la qualità dei loro corsi e a questo criterio si sono adeguati.

In generale – certo nei corsi triennali probabilmente anche nella maggior parte delle lauree magistrali – i corsi universitari sono da tempo diventati bignamini dei (pochi) libri in programma, con una spruzzatina di Power point. Si è diffusa l’idea, impraticabile e asinina, che il contenuto delle lezioni dovesse coincidere con il programma di studio. Aggiungiamo che, non solo in Italia, molte università sono cresciute in reputazione non per la qualità superiore dell’offerta didattica, ma per il solo job placement, per un marketing senza contenuti di insegnamento.

I corsi universitari veri, quelli che differenziano l’università dalle scuole medie, in cui non era sufficiente ripetere nozioncine, dove veniva impartito un metodo; quelli dove usciva il frutto di anni di ricerche sotto forma di macerata visione scientifica, poi applicabile a qualsia ulteriore tematica, erano morti e sepolti da un bel pezzo.

Se a questo evidente abbassamento della qualità della docenza universitaria – precedente al Coronavirus – aggiungiamo la scarsa familiarità e a volte persino il rifiuto di molti docenti verso le nuove tecnologie e la strana preferenza degli italiani per le situazioni di emergenza, anche quando l’emergenza è finita, possiamo immaginarci che certamente il livello generale delle lezioni a distanza era già in partenza migliorabile.

Pur rifiutando l’equivalenza tra lezioni in presenza e lezioni a distanza, non siamo certi che in ogni caso le lezioni a distanza debbano essere considerate per forza inferiori rispetto alle lezioni in presenza, se non altro per l’inevitabile riferimento alla qualità del prodotto originario, che in alcuni casi grazie all’uso di mezzi tecnici vincolanti non può che migliorare. Di sicuro, dopo un po’ di mesi di pratica – in seguito alla consapevolezza che virus o non virus la didattica a distanza avrebbe dovuto far parte integrante dell’offerta didattica – era ora di uscire dall’emergenza e provare a migliorare in maniera strutturale la qualità dell’insegnamento a distanza.

Tutti sappiamo che dietro la condanna della divulgazione si nasconde il più delle volte la scarsa padronanza della materia che si deve insegnare. Un bel discorso complicato è spesso ritenuto degno dell’Accademia italiana, anche se incomprensibile. Esempi preclari di studiosi stranieri, al contrario, ci hanno dimostrato che un grande studioso sa essere anche facilmente comprensibile e sa dire cose complicatissime in maniera molto semplice. Sfortunatamente, l’attitudine alla divulgazione è una caratteristica decisiva, molto più che nel caso della didattica in presenza, nel caso delle lezioni in video conferenza.

Anche qui abbiamo importanti esempi di queste capacità didattiche, c’è chi come il compianto prof. Giulio Giorello a lungo si è battuto per questi temi e ci ha lasciato prove concrete di come poter coniugare l’alto livello dell’insegnamento con gli strumenti audio e video tipici della distanza. Resta il nodo dell’interazione con gli studenti, ma anche in questo campo molto si può fare per migliorare.

Bisogna quindi abbandonare l’emergenza e pensare a organizzare meglio la didattica a distanza. Le tecniche e le attrezzature ci sono. Le immagini vanno rese più movimentate, è consigliabile inserire altri contributi audio-video a completamento della lezione tradizionale. Proprio perché la didattica a distanza non può essere sostitutiva di quella in presenza, va creato un prodotto differente, molto più accattivante dell’attuale video con il faccione del professore più Power Point. Così come è inutile rimarcare i limiti oggettivi della didattica a distanza, altrettanto non ha senso strombazzarne ai quattro venti le virtù, senza poi investirci un solo euro, senza migliorarla.

Bisogna uscire dalla logica dell’emergenza, della ruota di scorta consumata. La scusa dei pochi soldi non regge, miglioramenti eccezionali possono essere ottenuti a costi limitatissimi semplicemente sviluppando accordi con le società private che operano nel campo della didattica a distanza, Microsoft, Zoom, Panopto, Slack e altri, tutti interessatissimi entrare strutturalmente in questo nuovo mercato. Poi però bisogna mandare a scuola i docenti ad apprendere tecniche di comunicazione ormai indispensabili.

In ogni caso, l’ambito degli interventi più urgenti dovrà riguardare gli studenti. Uscire dalla visione che la didattica nelle università sia marginale, ristabilire il principio che se queste si reggono sulle tasse universitarie, sborsate in nome della qualità della didattica, il prodotto dovrà essere conseguente e diventare il criterio di selezione, anche nell’assegnazione dei fondi pubblici.

Poi gli studenti vanno coinvolti maggiormente nei modelli di didattica a distanza, devono essere spinti a partecipare attivamente anche in sede di realizzazione e devono – soprattutto – essere sostenuti economicamente e strutturalmente nella disponibilità dei mezzi tecnici per praticarla.

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