Eh già, noi siamo ancora qua. E continuiamo a crescere. Se i primi dieci anni del Fatto fossero una canzone, Vasco Rossi riscriverebbe la sua hit “Eh già, sono ancora qua… ci vuole abilità…”. Dieci anni fa gli adorabili colleghi, un po’ canaglie, dicevano che non c’era spazio per un altro giornale, invece molti di quei giornali non ci sono più o si sono striminziti come sottilette, altri hanno dovuto fare spazio proprio a noi. Peter Gomez lasciava L’Espresso da inviato, da giornalista tosto d’inchiesta. “Vai a occuparti di web? Ma è giornalismo di serie B…”, gli cantavano in coro i porta seccia. Le seccie nel colorito dialetto napoletano sono i menagramo e per esorcizzare il potere del malaugurio gli iettatori non si nominano mai. Tutt’al più si fanno accompagnare da eloquente gesto: un paio di corna con la mano. Tiè.

Dalla Serie B in Serie A, anzi direttamente in Champions. Presente un libro in cerca di editore che contrariamente a ogni pronostico diventa un best seller? Ecco, noi siamo quel best seller, anzi un long seller. Le pagine cliccate continuano a lievitare, 4, 5 milioni al giorno. Ho perso il conto. Arrivo in ritardo, per la fretta, per l’emozione, sbaglio civico e poi, ancora, sbaglio piano. Sono sul pianerottolo del quarto, dove ha sede l’amministrazione, una sorta di inaccessibile stanza dei bottoni. Porta sbarrata. Mi attacco al cellulare, nessuno risponde. Sono tutti, o quasi, al terzo piano. In pieno rispetto delle norme di sicurezza, Simona (Marfè) veloce sui roller blade quanto nelle sue mansioni di home manager, si è dotata di un aggeggio per misurare la temperatura di ognuno di noi. Èappena finita la maratona di 10 ore d’auguri, auguri, auguri (ehi, Mentana non sarai mica il solo a fare il Maradona delle maratone). Dal premier Conte (l’unico politico ammesso) a Fedez passando per un sacco di gente.

Il lungo tavolo delle riunioni di redazione è stato trasformato in buffet, tramezzini, noccioline, patatine, tarallucci, si gozzoviglia e saltano tappi di spumante. I brindisi si fanno solo a distanza, con gli occhi. La “zarina” Cinzia (Monteverdi ) incrocia quelli di Peter che incrocia lo sguardo di Simone (Ceriotti) che incrocia occhi belli (la chiamo così) di Claudia (Rossi) che incontra la chioma color Tiziano di Ilaria (Mauri), la più giovane, la mascotte della squadra del Fatto e così via… fino all’ultimo goccio di augurio.

Immediatamente dopo la categoria degli “storici” che insieme a Peter si sono lanciati in quella che sembrava mission impossible, ci sono io. Da nove anni tenutaria (lo posso dire, o vengo equivocata?) di blog. Ho controllato con Paola Maola, bravissima e giovanissima responsabile della sezione blog, il primo articolo risale a giugno 2011. Apperò. Fu io a propormi a Peter ( non equivocatemi). La cosa andò così. Io abitavo al terzo piano, Peter al secondo di una casa di ringhiera vecchia Milano, senza ascensore, senza fronzoli. Lui scriveva per L’Espresso ( l’ho già detto), io praticante all’Indipendente di Feltri. Erano gli anni di Mani Pulite, del giornalismo puro d’inchiesta. Sliding doors, ognuno va per la sua strada. Un giorno gli telefono: “Posso avere un blog?”. Risponde: “Ti massacreranno. Ci stai?”. Ci sto. All’inizio eravamo in due, titolari del blog, io e Marika Borrelli, co-autrici di “Come Pesci nella rete”.

Lei dopo un anno di tiro al bersaglio da parte degli haters ad alto tasso di ego infranto, si è ritirata. Eh già, io invece sono ancora qui. E me la canto da sola. E l’impresa continua. Il mondo si è fermato per 3 mesi, ma non il Fatto, in smart work da casa, continuava a macinare informazione e consensi. “Sono contento di questa festa e di quello che siamo”, dice Simone Ceriotti, il vice di Peter. Io, la veterana, in tutti i sensi e forme, sto per commuovermi. E ha proprio ragione siamo una grande bella famiglia di Fatto. Quelle di nascita ce le ritroviamo e basta. Le Famiglie d’adozione si scelgono e si cresce insieme.

Ad maiora.

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