di Barbara Pigoli *

La recente crisi sanitaria Covid-19 si sta purtroppo trasformando in crisi occupazionale (al 21 maggio sono già 7,7 milioni i lavoratori coinvolti in richieste di Cig). In queste condizioni, come può la “formazione finanziata” contribuire al mantenimento e al miglioramento del lavoro? La Legge 388/2000 e gli accordi interconfederali e triangolari, che hanno accompagnato la norma istitutiva dei Fondi interprofessionali, indicano quale fine della spesa dei fondi per la formazione, l’occupabilità dei lavoratori e la competitività delle imprese. La norma prevede che la formazione attivi le competenze virtuose verso un cambiamento nel modo di lavorare, che, applicato a livello organizzativo, migliori le prestazioni lavorative, producendo vantaggi sia a favore dell’impresa che dei lavoratori.

Alle centinaia di milioni di euro gestiti dai 21 Fondi interprofessionali attivi, si sommano i Fondi regionali ed i 230 milioni di euro previsti dal recente Decreto Rilancio tramite il “Fondo Nuove Competenze”, gestito dall’Anpal, che, per l’anno 2020, consente di finalizzare parte dell’orario di lavoro a percorsi formativi. Cospicue risorse, numerosi i soggetti che le gestiscono.

Per evitare che il sistema dei finanziamenti per la formazione marginalizzi i lavoratori già a rischio occupazionale, premiando la catena di soggetti attuatori che, in quanto soggetti privati, operano con logiche di mercato, occorre iniziare a valutare i concreti impatti della formazione. Al netto di alcuni casi eccellenti, i sistemi di valutazione in uso si occupano di monitorare gli aspetti formali della spesa dei finanziamenti: quante ore, quanti partecipanti, quale gradimento, quanta capacità di spesa. Criteri necessari ma non sufficienti per un chiaro riscontro dell’impatto della formazione sull’impresa e sui lavoratori. Come procedere?

Già in fase di progettazione dell’intervento occorre delineare il campo di osservazione della valutazione, coinvolgendo in modo paritetico sia impresa che lavoratori. In secondo luogo, occorre definire con chiarezza gli obiettivi della formazione e gli indicatori da utilizzare per verificarne il raggiungimento. In assenza di un progetto di sviluppo competitivo sostenibile, che genera gap di competenze, da cui emerge l’esigenza di adeguamento professionale, l’impatto della formazione non è monitorabile. Gli indicatori di prestazione aziendali (es. volume di produzione rispetto al numero di dipendenti, indici di soddisfazione dei clienti, rapporto fra costi effettivi e costi previsti per un’unità di produzione) sono un punto di osservazione utile, in quanto utilizzano KPI quantificabili, ma non completo poiché misurano solo i risultati conseguiti dall’organizzazione rispetto ai suoi fattori critici di successo. Serve l’introduzione di criteri adeguati a misurare anche aspetti di sostenibilità, corretta gestione aziendale e rispetto dei lavoratori, criteri in grado di monitorare il secondo presupposto vincolante per la spesa dei finanziamenti per la formazione: l’occupabilità dei lavoratori.

Un utile riferimento viene fornito dai criteri ESG (Environmental, Social, Governance), gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Si tratta di una selezione di asset utilizzati in ambito economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate agli investimenti responsabili. Misurare i criteri ESG implica di pensare sì al business (competitività dell’azienda), ma con un’ottica di lungo termine, rispettando ambiente, persone ed etica nella gestione. Il monitoraggio dei criteri ESG valuta come le aziende sono in grado di assumersi responsabilità non unicamente legate al profitto, e in via indiretta disincentiva comportamenti opportunistici poiché tiene sotto controllo i criteri per il successo a lungo termine: sostenibilità dei processi con cui vengono assunte le decisioni aziendali, modalità con cui si decidono gli obiettivi, mezzi per il raggiungimento e la misurazione dei risultati finali, valorizzazione dell’ambiente e valorizzazione del capitale umano.

* Laurea Magistrale in Scienze Politiche (Università degli Studi di Milano) e Master in Lobbying & Public Affairs (Università LUMSA di Roma). Sono da sempre impegnata nel sistema della formazione continua e delle politiche attive per la formazione (governance del sistema, progettazione ed erogazione), e per 11 anni ho diretto un ente di formazione del sistema confindustriale (FormaMec ANIMA). Attualmente opero come libera professionista. Progetto Piani formativi e collaboro attivamente con Parti Sociali e associazioni di rappresentanza nell’articolazione della domanda formativa delle imprese e dei lavoratori. Relatrice a convegni istituzionali in qualità di esperta in processi formativi e corretto utilizzo dei Fondi interprofessionali, scrivo articoli, pubblicazioni ed erogo consulenze e docenze specialistiche sui processi di governance che caratterizzano i Fondi interprofessionali, la formazione continua e la bilateralità.

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