“Mi propose di lavorare per lui come baby sitter dei suoi figli, offrendomi 50 euro a settimana e anche di lavorare insieme a lui in campagna. Ho accettato, anche perché mi offriva l’ospitalità presso la sua abitazione”. È iniziato così il calvario di un 32enne bulgaro in Italia. Un invito e un’offerta giunta da un connazionale poco più grande di lui che da anni vive con la sua famiglia a Palagiano, in provincia di Taranto.

Quando è arrivato nel paesino della provincia ionica, però, è bastato poco per capire che le cose sarebbero andate diversamente. “In un primo momento mi ha permesso di dormire su di un divano letto in cucina, poi dopo qualche mese, siccome il divano è stato infestato dai pidocchi, lo ha buttato e da allora ho dormito sul pavimento senza cuscino, avvolto solo da un leggero piumino”. Da quel momento la sua vita è stata un crescendo di umiliazioni, offese e violenze. Un incubo finito quando in quella casa sono piombati i poliziotti per salvarlo.

Gli agenti erano stati allertati dai colleghi bulgari a cui si erano rivolti i genitori del 32enne che da settimane non avevano sue notizie. Al giovane infatti, erano stati tolti i documenti e persino il telefono: il suo aguzzino si era accorto che il 32enne aveva provato di nascosto a contattare i carabinieri per raccontare il suo dramma. A causa del suo italiano stentato, però, non era stato in grado di spiegare ai militari neppure dove si trovava. E così quel tormento era proseguito fino a quando gli agenti sono riusciti a trovare il luogo in cui era prigioniero, sottoposto a trattamenti che per la procura di Taranto hanno costituito l’accusa per il suo connazionale di riduzione in schiavitù e lesioni.

Quel giorno i poliziotti sono entrati in casa e lo hanno trovato seduto accanto al camino mentre la famiglia del carceriere stava pranzando. L’aguzzino si era affrettato a spiegare agli investigatori che quel giovane era un ospite. I poliziotti, però, hanno deciso di portarlo in caserma e lì hanno assistito al racconto crudo della vittima: “Ogni mattina presto – ha spiegato il 32enne – insieme a lui, a bordo della sua auto, andavamo a lavorare nelle campagne della zona di Palagiano, per circa 7 ore. Per questi lavori non mi ha mai dato nulla, e quando io gli chiedevo conto del denaro della giornata lavorativa, lui mi rispondeva che serviva per pagargli le spese per il mio mantenimento e che ero io semmai a doverlo ripagare”.

Non ha nascosto nulla, svelando le violenze quotidiane a cui era sottoposto: “Mi ha sempre maltrattato in ogni momento della giornata, per futili motivi, infatti, ricordo che ogni giorno, mentre stavamo lavorando in campagna, lui per spronarmi ad essere più veloce e prestare la massima attenzione sul lavoro che stavo facendo, mi punzecchiava dietro la schiena e ai fianchi, con la forbice usata per tagliare l’uva, provocandomi delle piccole ferite con fuoriuscita di sangue”. Le violenze del suo connazionale sembravano non avere limiti: “Ogni giorno mi colpiva con schiaffi sulla nuca per sfogare la sua rabbia: per la mancanza di sonno o per il ritardo sul posto di lavoro”. Anche quando la giornata di lavoro terminava, le sue sofferenze si spostavano dai campi all’abitazione: “In casa, quando era nervoso, dopo avermi picchiato con le mani, afferrava un grosso coltello e mi colpiva procurandomi dei tagli sulla spalla e sulle braccia. Sua moglie molte volte ha cercato di difendermi ed è stata sua volta picchiata”. In quella casa era costretto a sopravvivere mangiando quello che trovava: un po’ di riso o di pasta in bianco o anche solo dei biscotti. “Non mi ha mai dato neanche un pezzo di pane anche se lo chiedevo. Alla fine della cena o del pranzo, io dovevo lavare i piatti e fare i servizi domestici”.

Solo un paio di giorni prima dell’arrivo della polizia, quella casa era stata devastata ancora una volta dalla ferocia dell’uomo: “Le sue due figlie giocavano tranquillamente per terra, quando improvvisamente, in uno scatto di rabbia e senza un motivo, si alzava e prendeva per le caviglie la figlia di due anni, la sollevava da terra girandola in testa in giù e la sbatteva per terra con il capo”. Il racconto della vittima è bastato alla procura di Taranto per arrestare l’uomo e condurlo in carcere.

Nelle scorse ore la Corte d’assise, competente sui reati gravi come quello di riduzione in schiavitù, lo ha condannato a dieci anni di carcere. I giudici hanno inoltre disposto che l’uomo debba risarcire il 32enne per le violenze subite: sarà un processo civile a quantificare l’ammontare del danno, ma intanto l’avvocato Claudio Petrone che ha assistito la vittima nella sua costituzione di parte civile, ha ottenuto una provvisionale immediatamente esecutiva di 10mila euro. Dopo la sua denuncia, il 32enne ha iniziato una nuova vita: è stato accolto dalla cooperativa “Caps”, una delle comunità pugliesi che partecipano al programma regionale “La Puglia non tratta” che offre assistenza alle persone vittime di sfruttamento sul lavoro. Poco tempo fa infine ha scelto di tornare in Bulgaria. E riabbracciare i suoi genitori.

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