I sondaggi non misurano l’esatto battito del cuore delle urne, ma indicano tendenze, tracciano schizzi, propongono risposte a domande sull’opinione pubblica. Nelle ultime settimane ci si è divertiti a vedere quanto peserebbe la popolarità del presidente del Consiglio se fosse calata nel voto di un partito – uno fondato sulla pietra angolare del suo nome – o quale valore aggiunto fornirebbe al partito grazie al quale, da professore universitario e avvocato civile semisconosciuto, è diventato capo di due governi di un Paese che si ingozza di politica dalla mattina alla sera ma non è più in grado di produrre classe dirigente. Un elemento ricorrente nei sondaggi su Giuseppe Conte è che spingerebbe l’alleanza centrosinistra-M5s a tal punto da permetterle anche il sorpasso sul centrodestra (circostanza che non si presentava da un paio d’anni). Il motivo è che il presidente del Consiglio avrebbe un potere di attrazione anche nei confronti di pezzi di elettorato di centrodestra.

Tutto questo è un portato della fiducia – con indici in alcuni casi sorprendenti per il tempo che stiamo vivendo – che l’opinione pubblica rifonde ancora oggi nel capo del governo. Il giudizio sul governo e sul suo presidente è dopato dall’effetto Covid che ha portato una buona parte dei cittadini ad affidarsi (una volta tanto) alle autorità e alle istituzioni e a chi le rappresenta in modo più autorevole: così si spiega in parte anche la popolarità plebiscitaria di Luca Zaia nella sua Regione e viceversa lo scetticismo nei confronti del vicino collega Attilio Fontana.

Per lo stesso motivo diversi osservatori, muniti di palla di vetro e sorriso beffardo, avevano predetto su giornali e tv la caduta verticale della popolarità di Conte una volta finita la crisi acuta dei contagi e la situazione di paura, peraltro alimentata – è l’accusa – dalla comunicazione dell’emergenza “creata ad arte” da Palazzo Chigi. In questo quadro venivano raccontate come conseguenti (e imminenti) la defenestrazione di Conte in direzione della Colonna di Marco Aurelio e l’installazione di Mario Draghi come se fosse un suppellettile e il Parlamento una dépendance.

Ora però l’emergenza è finita e gli indici di fiducia restano quelli, tra un più uno, un meno due e uno zero. In attesa che gli osservatori consultino di nuovo le loro palle e spostino la data di scadenza, siamo già tutti interi in un periodo in cui i sondaggi valgono carta straccia se si rimirano come trofei appena spolverati e posizionati dietro la teca. E’ il momento, più di altri, di prendere quell’indice di fiducia e metterlo a disposizione di chi quel campione intervistato rappresenta.

La popolarità, il gradimento, la fiducia non sono le chiavi per rispondere “Rifarei tutto” dopo una tragedia immane che ha provocato dolore e lacrime (anche dello stesso capo del governo). Scegliere le parole giuste è un modo per maneggiare con cura quei sondaggi. Pensare di aver fatto il massimo possibile contro qualcosa di sconosciuto ed enorme non può essere tradotto con un messaggio di autocertificazione di qualità. Men che meno gli indici di popolarità consentono a chi governa di rispondere “lei crede di poter fare meglio?” o “la prossima volta ci viene lei” ai giornalisti che pongono interrogativi. I cronisti di mestiere fanno domande in rappresentanza dei cittadini (a volte ottime, a volte pessime), mentre il presidente del Consiglio fa il presidente del Consiglio e risponde (oppure no, com’è nel suo diritto).

Fino a ora è stato chiaro che l’enormità di quello che è accaduto ha riportato a galla tutte e tutte insieme le lentezze di un Paese appesantito da mille problemi e da migliaia di leggi, scritte male e applicate peggio, con numeri da capogiro di passaggi burocratici. Un risultato raggiunto con grande impegno negli ultimi decenni di Repubblica e che era complicato che fosse ribaltato da un governo nato da 5 mesi per caso e per mancanza di alternative. La pandemia ha prodotto molte trasformazioni in un tempo brevissimo, ma nessuno poteva chiederle di tramutare la pubblica amministrazione italiana in quella della Danimarca.

Ma ora l’emergenza è passata, il tempo si dilata e gli alibi cominciano a scarseggiare. I sondaggi non sospendono il giudizio dei cittadini per sempre.

Per questo Conte proprio ora ha la possibilità di farsi forza su quella fiducia della quale ancora gode per metterla a frutto e fare le “cose giuste”, il prima possibile, libero dai vincoli di mezze lobby, valvassori, sottogerarchie, pezzi di partiti in mezzo ai quali è fondamentale stare sempre in equilibrio con una maggioranza come questa che sembra una giungla.

Più importante del bilancino per tenere insieme partiti e correnti di partiti, però, è che in autunno, secondo le elaborazioni uscite in queste settimane, potrebbero esserci fino a 2 milioni di posti di lavoro in meno, un dramma sociale che necessita in fretta delle risposte che si puntellino su serietà, puntualità, accuratezza, nella sostanza e nella forma.

Diventa chiaro che il sostegno al reddito con le misure di emergenza per chi non ha niente o quasi e un orientamento delle politiche del lavoro hanno bisogno di trovare opere e parole le più corrette e le più efficaci possibili. E’ proprio ora, perché non sia troppo tardi, il momento di capire se le figure che sono state scelte tempo fa alla guida dell’Inps – attraverso il quale passano le misure di sostegno al reddito – e ancora di più dell’Anpal, l’Agenzia per le politiche del lavoro, sono in grado di reggere all’urto di quello che tutti prevedono a settembre.

I ritardi e le storture burocratiche, le promesse mancate sui tempi e poi ripetute come grandi successi, la mancata trasparenza sui dati, la fatica di avere risposte e poi le giustificazioni, i dati sparati e poi ritrattati (la povertà assoluta diminuita del 60 per cento e poi era il 9), i piani blandi per far funzionare finalmente l’Agenzia per il lavoro dopo un anno e mezzo di non si sa cosa e, non ultime, le interviste sgangherate e mai smentite che fanno voglia di lanciare il computer contro la parete – tutto questo non è il modo corretto per rassicurare i cittadini che ancora oggi, per un motivo o per l’altro, aspettano ancora mensilità della cassa integrazione né quelli che hanno perso già il lavoro e quelli che hanno paura di perderlo da qui ai prossimi mesi.

E’ in momenti come questi, con la clessidra già rovesciata, che la fiducia personale di un leader politico ha bisogno di trasformarsi in responsabilità. E’ in momenti come questi che i governanti hanno il dovere di portare rispetto, più del solito, ai propri concittadini.

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