La depurazione delle acque reflue inattiva il Covid-19 ed è per questo che, mai come oggi, sono necessari i controlli sull’esistenza di emissioni e scarichi illeciti da abitazioni e nuclei urbani. Il problema, però, è che nel nostro Paese un terzo degli agglomerati urbani non è a norma. A ricordarlo è stato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa che, davanti alla commissione Ecomafie, ha parlato della gestione delle acque reflue in Italia e delle relative procedure di infrazione. E ha spiegato che l’Istituto superiore di sanità ha eseguito un’analisi di rischio in relazione “ad acqua e servizi igienico sanitari (inclusa depurazione e gestione dei fanghi) e Covid-19”, come pure “per utilizzi umani delle acque (comprese acque potabili e di balneazione)” rispetto a potenziale esposizione a Sars-Cov-2.

LA DEPURAZIONE INATTIVA IL VIRUS – “Le correnti pratiche di depurazione – ha spiegato Costa – sono generalmente efficaci nell’inattivazione del virus, dati i tempi di ritenzione che caratterizzano i trattamenti, uniti a condizioni ambientali che pregiudicano la vitalità del virus (luce solare, livelli di pH elevati, attività biologica)”. La fase finale di disinfezione, inoltre, consente di ottimizzare le condizioni di rimozione integrale del virus prima che le acque depurate siano rilasciate nell’ambiente. “Disposizioni specifiche – ha aggiunto il ministro – sono state elaborate anche per la gestione dei fanghi di depurazione nell’ambito della fase emergenziale di pandemia”. L’analisi di rischio di esposizione a Sars-CoV-2 attraverso l’acqua e i servizi igienici, dunque, “indica che sussistono elevati livelli di protezione della salute”. Il rischio di possibile diffusione dell’infezione, come accade per la contaminazione dovuta ad altri agenti chimici e patogeni, è certamente più alto in caso di mancanza o inefficienza dei servizi di depurazione. “Le autorità di sorveglianza – ha spiegato Costa – dovranno incentrare ogni attenzione sulla possibile esistenza di emissioni e scarichi illeciti di reflui da abitazioni e nuclei urbani”.

LE PROCEDURE DI INFRAZIONE – E non è facile nel Paese nei confronti del quale l’Unione europea ha avviato quattro procedure di infrazione proprio per la mancanza di depuratori e per la violazione della direttiva 91/271/CEE, che stabilisce le modalità di raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue generate da agglomerati urbani e da alcuni settori industriali e “prevede che gli agglomerati con carico generato a partire da 2mila abitanti siano provvisti di rete fognaria e di impianti depurativi, secondo specifiche modalità e tempi di adeguamento in funzione del carico generato e dell’area di scarico”. E i tempi di adeguamento sono ormai ampiamente superati. “L’ultima scadenza – ha ricordato Costa – era fissata al 31 dicembre 2005”.

UN TERZO DEGLI AGGLOMERATI URBANI NON È A NORMA – Secondo l’ultimo report trasmesso alla Commissione europea nel 2018, oggi dei 3.144 agglomerati nei quali è diviso il territorio italiano per la gestione delle acque, 900 (relativi a un carico generato da poco più di 29 milioni di abitanti) sono colpiti dalle procedure europee, il 30% circa. Di questi, 117 sono in Campania per quasi 5 milioni di abitanti, 130 in Lombardia (oltre cinque milioni di abitanti), 188 in Calabria per poco più di 3 milioni di abitanti e 251 in Sicilia (su un totale di 336, pari al 73%) per quasi 7 milioni di abitanti, la regione con i maggiori problemi di depurazione delle acque. Per gli interventi di costruzione dei depuratori, dal 2012 il governo ha stanziato oltre 3 miliardi di euro. A questi vanno sommati 300 milioni dalla legge di bilancio 2019 e un miliardo che entrerà nella legge di bilancio 2020.

IL COMMISSARIO STRAORDINARIO E LE RISORSE – Per superare queste procedure d’infrazione, nel 2016 è stato istituito un commissario straordinario unico per la depurazione a livello nazionale che ha sostituito gli undici commissari pre-esistenti. Dal 22 maggio scorso a ricoprire questa carica è Maurizio Giugni, che ha sostituito Enrico Rolle. “Abbiamo cambiato i poteri del commissario unico non solo per una questione di semplificazione, ma anche per renderlo soggetto attuatore e stiamo negoziando l’appoggio della commissione Ambiente dell’Ue dinanzi alla Corte di Giustizia europea, per dimostrare che l’Italia sta seguendo le indicazioni per uscire dalle procedure di infrazione”, ha spiegato Costa ricordando che negli ultimi due anni le sanzioni sono state ridotte di 7 milioni.

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