Molti centri diagnostici privati di Roma e provincia da settimane vorrebbero a effettuarli per dare “il nostro contributo alla ricerca epidemiologica sul territorio”. Il consiglio regionale, infatti, nella mattinata di mercoledì ha approvato quasi all'unanimità – con l’eccezione di Fratelli d’Italia, astenuta - una mozione del centrodestra che impegna la giunta regionale a non ricorrere al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar del Lazio di permettere ai laboratori privati di effettuare i tamponi
Il Lazio dichiara guerra ai laboratori privati, ma la maggioranza di centrosinistra si schiera compatta contro la giunta regionale. È caos sui test molecolari anti-covid, i cosiddetti tamponi, nella coalizione alla Pisana che sostiene Nicola Zingaretti. Molti centri diagnostici privati di Roma e provincia da settimane vorrebbero a effettuarli per dare “il nostro contributo alla ricerca epidemiologica sul territorio”. Il consiglio regionale, infatti, nella mattinata di mercoledì ha approvato quasi all’unanimità – con l’eccezione di Fratelli d’Italia, astenuta – una mozione del centrodestra che impegna la giunta regionale a non ricorrere al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar del Lazio di permettere ai laboratori privati di effettuare i tamponi. Il provvedimento presentato da Stefano Parisi (capogruppo Lazio 2018) ha ottenuto anche i voti del Partito democratico e della Lista civica Zingaretti. Nonostante la sconfitta in Aula, a metà pomeriggio l’assessore alla Sanità nel Lazio, Alessio D’Amato – che è anche a capo dell’unità di crisi regionale – ha annunciato di aver comunque depositato il ricorso, andando di fatto contro la sua maggioranza.
Dall’inizio dell’emergenza Covid, D’Amato si è opposto in ogni modo alle autorizzazioni ai laboratori privati per l’effettuazione dei tamponi. Si tratterebbe di test a pagamento, ovviamente, o – nelle intenzioni – in convenzione con la Regione Lazio. La posizione radicale di D’Amato ha scatenato la rabbia del comparto della sanità privata e in particolare dei centri diagnostici, che hanno iniziato una dura battaglia legale. In particolare, il 17 giugno scorso il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da un noto studio clinico romano, l’Altamedica Artemisia della famiglia Giorlandino. Nella sentenza i giudici amministrativi spiegavano che “nel bilanciamento degli interessi coinvolti, l’interesse pubblico prevalente è quello di eseguire quanti più esami possibile, specie se questi vengono fatti senza oneri per le finanze pubbliche e senza limitare l’accesso ai reagenti per le strutture del Servizio sanitario”. A stretto giro è arrivata la reazione di D’Amato, che invitava i cittadini a “diffidare dai tamponi a pagamento non validati”.
La sentenza ha spinto Parisi – che nel 2018 fu candidato governatore per il centrodestra – a presentare nel giro di poche ore una mozione in cui si chiede alla giunta di non proseguire la battaglia legale. “La Regione Lazio – si legge – ha eseguito meno della metà dei tamponi eseguiti in regioni virtuose come il Veneto (che ha quasi un milione in meno di abitanti)”, mentre “la più ampia raccolta di dati possibile derivata dall’esecuzione dei tamponi appare l’unica vera strategia praticabile sia per identificare casi asintomatici sia, attraverso l’esecuzione di test sierologici, per verificare lo stato di immunizzazione della popolazione laziale”. La mozione, come detto, ha ottenuto il via libera da tutte le forze in consiglio regionale, ad eccezione di Fratelli d’Italia, che si è astenuta. “Questa non è una battaglia fra statalisti e liberali – precisa Chiara Colosimo – Riteniamo che in questo momento non sia possibile lasciare il controllo dei dati in mano ai privati, perché potrebbe esserci confusione nella gestione delle informazioni anche nel momento di eseguire le indagini epidemiologiche”.
Va detto che dall’inizio dell’emergenza, gli unici laboratori “privati” autorizzati all’esecuzione dei tamponi sono quelli cattolici del Policlinico Gemelli e del Campus Bio Medico. Anche l’Irccs Pisana della famiglia Angelucci – ospedale poi divenuto focolaio – aveva chiesto l’accreditamento ai test molecolari, senza ricevere alcuna validazione. In giornata, come detto, D’Amato ha fatto sapere di aver tirato dritto, depositando il ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza pro-Altamedica: “L’errore in cui cade l’ordinanza oggetto di impugnazione è quello di confondere una questione di sanità pubblica, con una limitazione alla libera concorrenza”, spiega l’assessore, che aggiunge: “Il test per il Covid non è un ordinario test diagnostico, ma si tratta di un test che, in caso di positività, ha importanti implicazioni sulla sfera delle libertà individuali, sulla circolazione e movimento. Nonché sulla salute come interesse della collettività, finanche, in caso di focolai, sulla determinazione delle cosiddette zone rosse”.