Cose che si portano in viaggio - 2/3
Tanto Benevolenza cosmica è concentrato sul vortice di una supposta soddisfazione immediata dell’io narrante, quanto Cose che si portano in viaggio (Guanda) è ancorato ad un ancestrale e recondito principio di realtà della protagonista. Katia bambina figlia di esuli comunisti spagnoli a Berlino Est nel primo dopoguerra. Katia adolescente legata al padre, alla madre e alla sorella più piccola di fronte alle prime avvisaglie sentimentali e sessuali. Katia appena maggiorenne che fugge con un giovane dell’Ovest oltre il Muro appena costruito e già macchiato di sangue. Katia adulta in crisi familiare nello splendido occidente che non dovrebbe avere problemi di futuro per i suoi cittadini. Katia donna matura che assiste alla caduta del Muro e tenta un ritorno a casa tragico, colpevole, sconvolgente. Davvero notevole l’esordio della scrittrice Aroa Moreno Duran con un romanzo storico che ha i piedi ben saldi nello sradicamento individuale della protagonista più che nell’onnipresente (e facile) dimensione del disfacimento dell’ideologia totalitaria onnipresente. Duran ha come l’ardire di adagiarsi delicatamente in una prima parte, quella più legata alla miseria materiale e concreta della vita ad Est, fatta di pennellate descrittive fugaci e poetiche. Poi lo scatto repentino, al ritmo serrato del thriller, di uno stralcio tamburellante da spy story con il pericoloso superamento della frontiera. Infine il terzo atto, una specie di requiem disilluso e disincantato, in cui totalitarismo sovietico e normalità occidentale falliscono contemporaneamente nella loro sistematica dicotomia etica. Facendo così emergere il vero fulcro, la vera anima del racconto: il legame solido, sotterraneo, infrangibile con le proprie radici familiari. I capitoli saltano risoluti come rintocchi puntuali di un campanile tra date casuali ed eventi della storia. La scrittura scorre fremente ed essenziale tra i particolari del quotidiano e il tutto della storia. La direzione del racconto rotola verso un senso del tragico che permea ogni angolo, ogni virgola, ogni pagina bianca del libro. Duran è un voce limpida, evocativa, sincera che probabilmente farà strada oltre il casus belli del Novecento. Quasi più un McEwan in minore che un Aramburu in sottrazione. “Quella notte, la più fredda del 1956, fu la prima volta che sentii il rumore che fanno due corpi quando si stringono in un letto. Nel buio della casa, i fiori rossi del primo maggio seccavano in un vaso di vetro”. Voto: 7/8