Ragioni per continuare a vivere - 3/3
Matt Haig non ha bisogno di presentazioni. Grazie a Il patto dei Labrador (2005) e a Il club dei padri estinti (2007), due gemme vagamente fantasy (ci chiedevamo cosa può essere un libro dove parla un cane se non un fantasy?) si è dapprima affermato come autore stravagante e bizzarro con un piede nella classicità (Shakespeare), poi recentemente grazie a Ragioni per continuare a vivere (2015) e Come fermare il tempo (2018) è diventato improvvisamente una specie di maestro di vita semplice e sofisticato allo stesso tempo, un tratto di letteratura che collega l’alto e il basso come forse solo gli anglosassoni sanno fare. Questa premessa per dire che la riedizione di Ragioni per continuare a vivere (edizioni E/O), in libreria proprio durante le settimane in uscita dal lockdown Covid-19, merita una rilettura più attenta, meno patologica e più divulgativa. Intanto, per chi non lo sapesse, in questo libro Haig racconta la depressione filtrandola attraverso la propria individuale esperienza precedente al successo editoriale. Il libro è suddiviso in cinque fasi mentali/capitoli (cadere – atterrare – rialzarsi – vivere – essere), a loro volta suddivise in micro capitoletti, pillole, estratti, frammenti di questa inattesa ed improvvisa vulnerabilità che cala su Matt quando è appena 24enne. Da quel che si deduce dalla ricostruzione dei fatti, cronaca che è come pulviscolo in mezzo alla sensibilità e all’emotività dell’autore che si scopre allargando l’osservazione a macchia d’olio in se stesso, Haig sembrava all’epoca essere un discreto “cazzone” (con tutto il rispetto, sia mai), sbracato a Ibiza tra public relations e vodka lemon. Poi improvvisamente il “fran” alla Baricco. “A me ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono”. Haig cade in depressione, pardon depressione più ansia, e per uscirne, anzi addirittura per non tentare di suicidarsi, ci vuole un po’. L’happy end, lo sappiamo fin da subito, ci sarà, ma la sofferenza che racconta è qualcosa di palpabile, di velenoso, di mostruoso. Haig però lo fa mettendosi a nudo con la stessa sofisticata semplicità con cui ha fatto parlare cani o riletto l’Amleto. Scosta la complessità dell’elucubrazione introspettiva, rimescola citazioni di Murakami, De Lillo, King o illustri neuroscienziati, e tenta di rendere leggibile il dolore ad un’ampia fetta di lettori. Esempi pratici ridotti all’essenziale, curve insinuanti di un martirio che pialla i sensi, lo slancio dell’autore sembra apparentemente strizzare l’occhio all’immedesimazione del lettore magari consapevole perché ha vissuto un momento di depressione, ma in realtà regala molta più conoscenza e stimoli a chi, a queste persone, è stato vicino e ha intravisto quel male oscuro divorare una vita. In questo Haig commuove per perseveranza, per ottimismo, per ragionevolezza. Ragioni per continuare a vivere merita di essere spizzicato, sbocconcellato, annusato, sfogliato anche distrattamente, anche solo per capire, come nelle considerazioni sui farmaci antidepressivi, che la soluzione farmacologica può non essere sufficiente o soprattutto può non sortire effetti (ad Haig il Diazepam non provocava alcunché). La depressione è una fottuta e complessa questione? Fatevelo raccontare dalla semplicità di “uno di voi”. Voto: 7