Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1941 – anche se il testo e le fotografie risalgono all’estate del 1936 – Sia lode ora a uomini di fama di James Agee e Walker Evans (prefazione di Luca Briasco; traduzione di Luca Fontana; Il Saggiatore) è, a mio avviso, una delle opere più importanti della narrativa contemporanea.
Anticipa il new journalism e dà una spinta significativa al realismo sociale esploso negli anni della Grande Depressione, un pragmatismo narrativo che darà voce ai generi più svariati, soprattutto per quello che concerne le sequenze descrittive di oggetti, luoghi e persone, tanto da diventare, forse suo malgrado, un modello per decine di opere degli autori più disparati (non necessariamente lettori del libro di Agee e Evans).
Siamo agli sgoccioli della Great Depression iniziata con il famigerato Giovedì Nero, e nel pieno del secondo New Deal. Un giovane scrittore, James Agee, e un altrettanto giovane fotografo, Walker Evans, vengono inviati dalla rivista Fortune in Alabama a documentare con parole e immagini la crisi vista attraverso gli occhi dei poveri coltivatori bianchi della zona.
I due non si limiteranno a portare a casa un semplice reportage ma un’opera straordinaria, originale, totalmente fuori da ogni schema giornalistico conosciuto fino ad allora. Cercheranno di non omettere nulla di quella miseria endemica e devastante osservata immergendosi in pieno nella vita di quei coltivatori.
Per Fortune quel materiale risultò impubblicabile. Con il realismo che trasuda nell’iperrealismo, un pugno allo stomaco per un pubblico che credeva al miraggio del New Deal. Un lavoro, inoltre, troppo complesso e articolato per il committente del reportage.
Sia lode ora a uomini di fama sfugge, effettivamente, a qualsiasi catalogazione: romanzo, saggio, indagine sociologica, portfolio della miseria, pamphlet sociale, illuminazione poetica, confessione, riflessione morale, giudizio politico. Un libro di culto, che andrebbe letto per rendersi conto che nulla ha perduto della sua devastante attualità.
Passaporti di Giuseppe Marcenaro (Il Saggiatore), viaggio esoterico che a tratti ricorda le opere più audaci di Iain Sinclair e Geoff Dyer, è un libro a episodi che fa tappa a Algeri, Tirana, Aden, Harar, Genova, Ibiza, Kehlsteinhaus, Taranto, Alessandria d’Egitto, Rio nell’Elba, Parigi, Monterosso al Mare. E in tutti questi luoghi l’autore ligure si concentra sulle marginalità della Storia e dei suoi personaggi (non importa se essi siano stati protagonisti dell’epoca narrata o meno).
E così il lettore si trova davanti gli esperimenti fotografici di Arthur Rimbaud, la fuga di Walter Benjamin con il suo baule pieno di segreti, il rapporto adulatorio di Hervé Guibert e Michel Foucault, Laslo Nagy e i suoi denti d’oro di derivazione greca e patrimonio dell’umanità, i festini di Adolf Hitler al “nido d’aquila”, Otto Witte, saltimbanco girovago divenuto per un bluff re d’Albania per qualche giorno e candidato non eletto alle presidenziali tedesche del marzo 1932.
Quello di Mercenaro è uno straordinario viaggio da instancabile flâneur in compagnia di fantasmi letterari, professionali, politici e factotum. Un romanzo in cammino capace di far rivivere il passato al lettore contemporaneo, di osservare le particolarità della Storia e della geografia reale. Un mappamondo del fugueur, camminatore con il gusto dell’imprecazione, dell’osservatore che individua nell’inedito e nelle patologie originali un percorso di sopravvivenza psichico.