Un “cavallo di Troia” in grado di assicurare l’infiltrazione di appartenenti alla criminalità mafiosa” nel palazzo di giustizia di Caltanissetta. Sarebbe stato questo il ruolo di Gianpiero Falco, 55enne napoletano finito nell’inchiesta sui consorzi Co.Ro.Im e Virgilio e sugli appalti gestiti da una serie di imprenditori siciliani accusati di avere agito, per anni, in maniera spregiudicata. Pianificando i fallimenti delle proprie società con l’unico obiettivo di lasciare per strada i debiti contratti e mantenere i ricavi provenienti dagli appalti acquisiti. Affari milionari che avrebbero beneficiato anche della vicinanza a Cosa nostra di alcuni degli indagati. Tra i quali Francesco Scirocco, colletto bianco originario di Gioiosa Marea (Messina) già condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Falco mette piede in Sicilia nella primavera 2013, quando viene nominato presidente del consiglio d’amministrazione del consorzio stabile Virgilio. Creatura che, secondo gli inquirenti, sarebbe servita a traghettare il portafogli del Co.Ro.Im, contenente appalti milionari al tribunale di Caltanissetta, al Policlinico di Messina e sull’Autostrada 1 Milano-Napoli. Da Napoli, l’imprenditore arriva con il giusto pedigree: esponente dell’antiracket e buone entrature nelle istituzioni, a partire dalla parentela con il fratello Maurizio (non indagato), all’epoca alto funzionario del Viminale e oggi prefetto di Piacenza.
“Noi siamo persone perbene”, diceva al telefono Falco. Un mantra ripetuto in più di un’occasione ma che, stando a quanto raccolto dagli uomini della Dia di Caltanissetta, avrebbe fatto a pugni con i comportamenti adottati. A partire dalla relazione speciale stretta con Scirocco. I due si conoscono, il 31 marzo 2015: quattro giorni prima il messinese era uscito dal carcere per decorrenza dei termini della custodia cautelare ma era stato anche condannato in primo grado (poi confermata in appello) a sette anni per i rapporti con i Barcellonesi e Tortoriciani. Ombre pesanti di cui Falco, per i magistrati, sarebbe stato perfettamente a conoscenza nonostante un tentativo di fare intendere una situazione diversa. “Devo pigliare informazioni su un personaggio di Messina, che mi dicono abbia avuto dei problemi e che però li abbia risolti. Ne ho parlato col maggiore”, commenta al telefono l’imprenditore campano, aggiungendo di avere chiesto a un carabiniere un accesso allo Sdi, il sistema informatico a disposizione delle forze dell’ordine.
Per Graziella Luparello, la giudice che ha condannato in primo grado l’ex paladino della legalità Antonello Montante, si sarebbe trattato soltanto di una finzione. “La ricerca di informazioni, a mezzo di personale dell’Arma con i quali Falco, evidentemente, aveva buone relazioni – si legge nell’ordinanza – costituiva soltanto un vano tentativo di fare apparire giustificata l’assunzione di un soggetto condannato per concorso esterno”. Il riferimento va alla decisione di Falco di assumere Scirocco all’interno del Virgilio. Un contratto che di fatto ha consentito al siciliano di trascorrere il periodo di sorveglianza speciale a Messina, anziché a Gioiosa Marea.
“Falco è il soggetto capace di trasformare il sodalizio tra mafia e impresa in una triplice alleanza, in cui accanto alla mafia siede I’asserita antimafia”, sostiene Luparello. Riflessioni critiche, quelle usate dalla giudice, che non trovano corrispondenza per il momento nell’azione della procura, che ha proceduto per bancarotta fraudolenta e riciclaggio. In merito all’ipotesi di infiltrazione mafiosa nelle imprese al centro dell’indagine, la gip – ricordando i legami familiari che avvicinano due degli indagati, i fratelli Iraci Cappuccinello, al boss Piddu Madonia e all’uomo d’onore Pino Calandra – scrive: “Non si può prescindere dalla sua trattazione, in quanto esso costituisce un tassello storico fondamentale nella ricostruzione degli avvenimenti”.