Calcio

Irlanda del Nord, la nuova maglia del Linfield richiama i paramilitari: torna a farsi sentire il conflitto

Ci sono tre versioni del conflitto irlandese, scrive Robert McLiam Wilson in Eureka Street; quella repubblicana, quella lealista e quella britannica. Lo scrittore di Belfast parla però anche di una quarta versione, la Versione Semplice la chiama lui, che vede otto secoli di sangue versato tra irlandesi e altri irlandesi. Una lotta intestina tra fratelli che ha portato alla polverizzazione di intere generazioni uccidendone i fiori più belli e traumatizzando intere comunità che hanno vissuto le esperienze atroci della guerra fuori dal portone di casa propria.

La Versione Semplice di Eureka Street dal punto di vista storico è sbagliata perché banalizzante, dato che la storia non conosce versioni semplici. Anzi, forse c’è un’unica confortante e spaventosa semplicità nella storia: la Versione Semplice è che – come al solito – aveva ragione Marx. Per parlare in maniera sensata del conflitto irlandese infatti più che di fratelli contro fratelli possiamo e dobbiamo parlarne solo in termini di lotta di classe chiaramente politicizzata, rifiutando categoricamente le ridicole divisioni su base religiosa e magari concentrandoci di più sui quartieri di provenienza di chi richiedeva alloggi popolari nei tremendi anni dei Troubles come oggi. Storicamente non esistono cattolici contro protestanti, irlandesi contro altri irlandesi, esiste il mantenimento dello status quo contro il sovvertimento dello stesso.

La lotta intestina tra fratelli irlandesi ci permette semplicemente di addentrarci in una peculiarità del conflitto in Irlanda, l’importanza dei colori. Se Eureka Street ha sbagliato l’analisi storica, ha azzeccato quella sociale: chi impugnava un fucile in quelle terre era davvero un connazionale e un concittadino di chi finiva nel mirino. E se sei mio connazionale e mio concittadino, se sei praticamente me, io per distinguermi mi devo colorare in maniera opposta alla tua. Se siete scettici, fatevi un giro per il Bogside (quartiere repubblicano di Derry) vestiti di arancione il 12 luglio (giorno della marcia degli orangisti, organizzazione lealista). Alla fine della giornata avreste preferito fidarvi.

È proprio l’importanza dei colori che ha fatto esplodere il caso della nuova maglia da trasferta del Linfield, squadra del campionato nord irlandese con sede a Belfast. Il club, oltre ad essere uno dei più titolati al mondo con più di 200 titoli in 130 anni di storia (record nel quale pesa uno storico e consolidato trattamento di favore da parte della Federazione e praticamente l’assenza di rivali competitivi), è famoso per una politica molto settaria fin dagli albori della sua storia, quando venne fondato nel 1866 da una comunità di operai di Sandy Row, quartiere nel sud di Belfast storicamente lealista e che negli anni dei Troubles sarà la base dell’organizzazione paramilitare Ulster Defence Association e del già citato Ordine di Orange.

Nel Linfield storicamente i cattolici non possono giocare per una regola non scritta e la centenaria storia del club è scandita da episodi di estrema violenza settaria, come gli scontri nel marzo 2012 contro il Derry City e il famoso episodio del Boxing Day 1948 contro il Belfast Celtic, quando i tifosi del Linfield invasero il campo per aggredire l’attaccante avversario Jimmy Jones, che rimediò una gamba rotta, e che portò alla drastica decisione di ritirare per sempre il Belfast Celtic dalle competizioni nazionali (per chi fosse interessato ad approfondire la questione l’episodio è raccontato in Strikers – Storie di calcio e di guerra nell’Irlanda del Nord di George Best e Bobby Sands, scritto da un autore del nostro collettivo).

Il club gioca da sempre con la prima maglia bianca, rossa e blu in onore della Union Jack britannica e storicamente la seconda è sempre stata arancione come richiamo all’Ordine di Orange, ma con l’annuncio della nuova maglia da trasferta targata Umbro in Irlanda si è aperta una forte polemica. La maglia sarà infatti arancione e porpora, una scelta di colori che – oltre al solito Ordine di Orange – riprende anche quella dell’Ulster Volunteer Force, organizzazione paramilitare lealista responsabile di terribili atrocità durante gli anni del conflitto, come l’attentato al pub McGurk’s di Belfast, frequentato dalla comunità cattolica locale, che uccise 15 civili (dei quali due erano bambini) e ferendo altre 17 persone, oppure l’esplosione coordinata di diverse autobombe sparse tra Dublino e Monaghan il 17 maggio del 1974, che causò 34 morti e più di 300 feriti.

La maglia, già sold out sul sito del club, è stata duramente attaccata dalla società civile irlandese, come la consigliera comunale di Belfast Denise Mullen – orfana di padre proprio a causa di una spedizione dell’Uvf nel 1975 a casa della famiglia Mullen, che ha definito la maglia vergognosa e inaccettabile – o l’ex attaccante del Liverpool Stan Collymore.

Il club però si difende attraverso un assordante silenzio stampa che permette ai colori di un gruppo di assassini di essere celebrati dalla più importante squadra del Paese, un Paese dove è difficile trovare una data di inizio dell’odio settario tanto quanto è difficile vederne una fine.