Il ministro c’era già: dal renziano Lotti al leghista Giorgetti (da sottosegretario), fino a Vincenzo Spadafora, negli ultimi anni i partiti si sono accorti di quanto consenso, potere, visibilità regala il mondo dello sport, e uomini forti di governi differenti hanno preteso per loro la delega, riportando in politica ciò che per decenni era stato delegato al Coni. Adesso il governo compie l’ultimo passo: nascerà anche una specie di “Ministero”, se così si può dire. L’effetto principale della riforma che verrà approvata nelle prossime settimane è trasformare l’ufficio per lo sport in un dipartimento con infinite competenze, più personale (ma niente nuove assunzioni, solo distacchi) e grandi risorse, che assomiglierà a un vero e proprio “Dicastero”. Una struttura dello Stato, che si occuperà di sport e resterà anche in futuro, e potrà gestire quasi mezzo miliardo l’anno. Dai soldi per le Federazioni a quelli per gli impianti, passerà tutto da Chigi.

La riforma dello sport, la legge delega approvata nell’estate 2019 dal governo gialloverde, di cui adesso bisogna scrivere i decreti attuativi, è attesa soprattutto perché deve sciogliere i conflitti lasciati in sospeso tra il Coni e Sport e Salute spa, la nuova società statale creata da Giorgetti per ridimensionare il potere di Malagò. Lo farà: dopo le proteste del Comitato olimpico (e le minacce del Cio), il Coni avrà una sua pianta organica, dei dipendenti tutti suoi, con cui potrà recuperare l’autonomia (a suo dire) perduta. Fra i due litiganti, però, ecco spuntare il classico terzo incomodo. L’accentramento a Palazzo Chigi di risorse e competenze era già in corso: uno dei primi atti di Spadafora, ad esempio, era stato riportare all’esecutivo “Sport e periferie, il ricco piano renziano per l’impiantistica che ha già distribuito 200 milioni di euro e di qui al 2025 potrà contarne altri 250. Adesso quel disegno troverà pieno compimento.

L’ufficio per lo sport, attualmente diretto da Giuseppe Pierro, viene promosso a dipartimento, con più competenze (e risorse). Nel testo del provvedimento c’è l’elenco di tutte le cose che potrà fare: è tanto lungo che prende buona parte delle lettere dell’alfabeto. Coordina le iniziative amministrative e normative, realizza progetti educativi nelle scuole, convoca ogni anno una “consulta” nazionale (una specie di Stati generali dello sport), avrà persino un centro studi. Ma il piatto forte è la grande torta dei contributi pubblici allo sport, in particolare gli oltre 250 milioni di euro che ogni anno finiscono alle Federazioni sportive. Prima li distribuiva il Coni, Giorgetti li aveva tolti a Malagò per affidarli a Sport e salute, ora il governo se li riprende: formalmente l’erogazione resta alla società statale, ma sarà il dipartimento a definire i “criteri generali” per la ripartizione, cioè a decidere in base a cosa chi prenderà quanto. Inoltre, eserciterà anche la vigilanza (per la parte economica, quella sportiva resta al Coni) sull’operato delle Federazioni, che di fatto finiscono sotto l’orbita del governo (e di questo non saranno felici). Stesso discorso per gli enti di promozione sportiva, le associazioni per lo sport di base, che passano dal Coni al dipartimento (persino per il riconoscimento legale).

E Sport e salute? La partecipata attualmente diretta da Vito Cozzoli, rischia di essere la più sacrificata nel nuovo impianto. Se il Coni resta sempre il Coni (le linee guida il governo le concorderà con Malagò), e il super-dipartimento si allarga, la società diventa il suo braccio operativo, bisogna capire però con quanti margini di manovra. Giorgetti l’aveva creata per togliere potere a Malagò, ma conservare comunque il principio di autonomia dello sport (oltre a salvaguardare le competenze, visto che Sport e Salute altro non è che la ex Coni Servizi, con dirigenti esperti e specializzati). Quell’idea non si è mai realizzata pienamente e ora cade l’ultima barriera. Il governo si riprende lo sport.

Twitter: @lVendemiale

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