E' questa la conclusione a cui sono giunti i periti nominati dalla Procura, che indaga per naufragio. Scagionare i comandanti dei due rimorchiatori e i due piloti del porto
Un siluro lanciato a 6,8 nodi, una velocità stratosferica per un bestione da 65mila tonnellate, lungo 275 metri e alto 32, che si stava avvicinando all’approdo nel cuore di Venezia, era appena transitato davanti a piazza San Marco, aveva sfiorato Punta della Salute e il suo ingresso nel Canale della Giudecca. Questa era la grande nave Msc Opera che il 2 giugno 2019 ha seminato il terrore a San Basilio, schiantandosi contro il battello fluviale River Countess che stava sbarcando 130 passeggeri, subito dopo la colazione del mattino. Un bestione impazzito, senza motori funzionanti, ormai alla deriva. Solo i rimorchiatori veneziani riuscirono parzialmente a controllarlo, impedendo conseguenze più nefaste, visto che i ricoverati in ospedale furono solo alcuni passeggeri. A bordo, invece, per circa un’ora non avevano capito l’anomalia in corso. Anzi, ad errore si era aggiunto errore, anche se all’origine ci sarebbe un guasto che dipende da un difetto di produzione.
E’ questa la conclusione a cui sono giunti i periti nominati dai sostituti procuratori Andrea Petroni e Giorgio Gava che stanno conducendo l’inchiesta per naufragio, visto che il battello avrebbe potuto andare a fondo se solo l’incidenza dell’angolo di scontro fosse stata di qualche grado diversa. I periti hanno verificato che alle 7.26 di quella domenica si è verificata un’avaria all’impianto di automazione, segnalata dal computer della nave, che era ancora in mare, a 2 miglia dalla bocca di porto del Lido. Ma l’allarme era stato sottovalutato, i limiti di velocità in laguna non sono stati rispettati e la catena di comando non ha attivato una procedura di emergenza. Ad andare in avaria fu un modulo del quadro elettrico che ha come compito anche quello di alimentare, dalla plancia, la timoneria e quindi di controllare l’elica. Ma nonostante l’allarme, non fu ripristinato il quadro tecnico, come si sarebbe potuto fare per risolvere il problema. L’avaria non aveva bloccato l’elica perché era entrato in funzione un gruppo di continuità che avrebbe dovuto assicurare elettricità per mezz’ora. Ha retto, invece, circa un’ora, lasciando poi Msc Opera in balia di se stessa e della forza d’inerzia, effetto della velocità e della massa. In particolare ha inciso la velocità che è stata perfino superiore agli 8 nodi dalla bocca del Lido al Forte di Sant’Andrea e ai 6 nodi da San Marco fino al punto dell’impatto. In questo secondo tratto, annotano i periti, “il comandante avrebbe dovuto transitare ad una velocità sempre inferiore a 5.8 nodi”.
Un’ora dopo l’avaria, Msc Opera perde di colpo l’energia elettrica, il timone non è più utilizzabile e i motori vanno fuori uso. Ma ancor prima sarebbe stato possibile avviare una procedura di emergenza, il che non fu fatto. E’ solo alle 8.27 che il comandante cerca di correggere la rotta, mentre la nave sta piombando su San Basilio. Ma è ormai impossibile dirigere la prua verso il centro del canale. Mezzo minuto dopo chi è in plancia si rende conto che i motori non funzionano più. In quel momento la velocità è di 6.8 nodi. Lo schianto avviene alle 8.31. Sono stati i rimorchiatori a limitare i danni, trattenendo l’enorme massa di acciaio che si stava abbattendo contro River Countess e la fondamenta. L’esito della consulenza ha spinto Msc a dichiarare che “l’avaria è stata generata da un guasto tecnico risalente alla costruzione, di cui Msc è del tutto incolpevole e che non poteva essere identificato dalle regolari verifiche della nave”. E sostiene che la situazione creatasi dopo era “imprevedibile”. In realtà la perizia sembra scagionare i comandanti dei due rimorchiatori e i due piloti del porto, non il responsabile della manutenzione e il comandante. Anzi, allarga il sospetto ad altri componenti della catena di comando.