L'ex candidato del centrosinistra alle regionali lascia Palazzo Campanella dopo appena cinque mesi dall'incarico, ma lo fa denunciando un modus operandi che a suo dire "calpesta" le regole fondanti dell'organo legislativo
“Prassi consolidate” che impediscono il regolare lavoro del Consiglio regionale e limitano le “valutazioni delle questioni sulle quali l’Assemblea è chiamata ad esprimersi, impedendo quindi che il Consiglio stesso renda quel servizio al quale dovrebbe tendere istituzionalmente”. Con queste parole il consigliere regionale ed ex candidato governatore del centrosinistra in Calabria, Pippo Callipo, ha annunciato in una nota le sue dimissioni da membro dell’Assemblea, dopo appena cinque mesi dalla sua entrata in carica.
Il lungo messaggio inviato dal politico, che alle ultime elezioni aveva sfidato con la sua lista “Io resto in Calabria” la governatrice sostenuta dal centrodestra, Jole Santelli, è nei fatti una denuncia dei meccanismi che regolano lo svolgimento dei lavori consiliari a Palazzo Campanella: “Dopo una lunga e molto sofferta riflessione, questa mattina ho rassegnato le mie dimissioni dalla carica di consigliere regionale della Calabria perché mi sono reso conto che, purtroppo, non ci sono le condizioni per portare avanti concretamente l’importante mandato che un considerevole numero di calabresi mi ha conferito”, esordisce Callipo nel comunicato.
Poi, passa subito a spiegare i motivi del suo passo indietro, denunciando quelle che reputa delle prassi non in linea con il mandato affidato a tutti i membri dell’Assemblea: “Ben presto – spiega – ho capito che le regole e i principi che ordinano l’attività del Consiglio regionale sono di fatto ‘cedevoli’ al cospetto di prassi consolidate negli anni che mortificano la massima Assemblea legislativa calabrese e che si scontrano con la mia mentalità improntata alla concretezza. L’attività del Consiglio si svolge assecondando liturgie politiche che impediscono la valutazione delle questioni sulle quali l’Assemblea è chiamata ad esprimersi, impedendo quindi che il Consiglio stesso renda quel servizio al quale dovrebbe tendere istituzionalmente”.
In particolare, il politico si riferisce a una gestione delle attività consiliari che di fatto renderebbe impossibile la discussione tra i membri, violando quindi i principi cardine dell’organo legislativo regionale: “È stato traumatizzante dover accettare che qualsiasi sforzo profuso non avrebbe portato ad alcun risultato – continua – Le regole a presidio dell’ordinata gestione dell’ordine del giorno e della presentazione delle proposte da votare non sono un inutile orpello creato per imbrigliare l’iniziativa legislativa dei Consiglieri, ma rappresentano una garanzia del corretto svolgimento della funzione legislativa e rispondono ai principi e ai doveri indiscutibili che sono posti alla base del nostro ordinamento democratico. Per questo non posso in alcun modo accettare che tali regole vengano calpestate. Mi sono candidato per spirito di servizio verso la mia terra e verso i calabresi e avrei voluto lavorare nel loro interesse per rompere ogni logica clientelare, realizzare progetti di ampio respiro e raggiungere obiettivi in funzione di una visione unitaria e moderna della Calabria. Non l’ho certo fatto per interesse personale o per il lauto compenso che viene corrisposto per questa carica, che peraltro ho finora interamente devoluto in beneficenza, rinunciando in tempo utile anche al ‘vitalizio’ e all’indennità di fine mandato. Dopo circa cinquant’anni di attività lavorativa non posso consentire né tollerare cambiamenti della mia personalità e della mia forma mentis. Non posso farlo per il rispetto che nutro nei confronti dei calabresi, della mia famiglia, dei miei quattrocento collaboratori e verso me stesso”.