Ha una spesa di produzione di un euro contro i quasi 4 di quello tradizionale, viene realizzato mediante manodopera umana che si sostituisce agli insetti e alla loro azione impollinatrice e soprattutto non risente della crisi: il prodotto che arriva da Pechino sta mettendo a repentaglio la filiera italiana. La Cia: "Concorrenza sleale, è un alimento realizzato con metodologie di produzione non conformi alle norme europee"
Costa oltre 2,5 euro in meno rispetto a quello nostrano, ma viene fatto senza api: il miele made in Cina invade l’Italia e mette in ginocchio gli agricoltori. Tutti. A lanciare l’allarme è la Cia-Agricoltori italiani, secondo cui, infatti, la concorrenza del “falso miele” che si trova nei supermercati al prezzo di un euro (contro i quasi 4 euro di quello italiano) “ha pesanti ricadute non solo sulla filiera ma su tutta l’agricoltura italiana, che dipende al 70% dalle api nella loro funzione di impollinatori”. Di fatto, mentre in tutto il mondo diminuisce la produzione a causa dei cambiamenti climatici, quella cinese aumenta. Le esportazioni in Europa sono arrivate a circa 80mila tonnellate.
IL MIELE ‘SENZA API’ – Ma si tratta, denuncia Cia-Agricoltori “di un falso miele difficile da rilevare ai controlli alle frontiere, che crea una concorrenza sleale fortemente penalizzante per l’apicoltura italiana dove il prezzo medio di produzione è di 3,99 euro al chilogrammo”. Si tratta di un prodotto “creato a tavolino, con l’aggiunta di sciroppo di zucchero e con metodologie di produzione non conformi alle norme europee, dove l’uomo si sostituisce alle api nella realizzazione del processo di maturazione”. Questo accade perché in Cina inquinamento, deforestazione e soprattutto l’uso dei pesticidi hanno portato già da qualche anno alla scomparsa di quasi tutte le api. Guaio grosso per chi coltiva mele, pere, mandorle e tanti altri frutti. Basti pensare che il 75% circa di tutta la produzione agricola dipende dall’impollinazione delle api (dai pomodori ai piselli, dalle fragole ai frutti di bosco). Gli agricoltori hanno dovuto trovare un’alternativa: in pratica ciò che facevano prima gratis le api, ora viene fatto male dai cosiddetti uomini–ape (cercando inutilmente di imitare il laborioso insetto) e sfruttando anche manodopera sottopagata, pure quella dei bambini. Si utilizza una specie di piccolo pennello, applicando polline raccolto precedentemente, sempre a mano. Ma se le api riuscivano a impollinare circa 200 alberi al giorno, un uomo-ape arriva a venti. Il resto lo fa una produzione artigianale più rapida ed economica “che accelera i processi di deumidificazione e maturazione che le api effettuano con tempi molto più dilatati – spiega l’associazione degli agricoltori – che rendono il prodotto finale privo delle sue peculiari caratteristiche di genuinità”.
L’APPELLO – Già un anno fa, l’ex ministro Paolo De Castro, in qualità di primo vicepresidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, ha chiesto un intervento da parte dell’Europa: “Non possiamo permettere, che miele prodotto con metodi artificiali o con l’aggiunta di sostanze estranee, come avviene legalmente in Cina, possa entrare liberamente in Europa, e in più senza pagare dazio”. Alla base del problema proprio “le profonde differenze tra gli standard di produzione: nell’Ue il miele prodotto dalle api deve essere essiccato e maturato nell’alveare senza l’aggiunta di sostanze estranee”, mentre in Cina non c’è l’obbligo di rispettare questo processo. E questo lascia spazio a lavorazioni industriali che possono modificare di molto il prodotto finale, ma che rendono il nettare cinese estremamente simile al miele naturale.
L’INVASIONE – Ed è proprio per questo che la flessione produttiva di miele causata dai cambiamenti atmosferici negli ultimi anni, ha toccato tutto il mondo, Italia compresa, con una diminuzione del 50 per cento nel 2019, ma non la Cina. Qui la capacità continua invece ad aumentare di anno in anno. E sono enormi le difficoltà di mercato per i 63mila apicoltori italiani, un comparto che conta 1,5 milione di alveari, 220mila sciami, 23mila tonnellate di prodotto e oltre 60 varietà. Difficoltà che non sono certo diminuite durante l’emergenza legata alla pandemia. Perché se è volato il consumo di miele (secondo Coldiretti gli acquisti sono aumentati del 44%), è pur vero che l’esplosione della domanda si è scontrata con un momento difficile per la produzione made in Italy per effetto dell’andamento climatico anomalo con una grave siccità che ha ridotto le fioriture e stressato le api. Già lo scorso anno, d’altronde, si è arrivati a una produzione nazionale di appena 15 milioni di chili, a fronte di un quantitativo di quasi 25 milioni di chili di miele importato durante l’anno dall’estero, soprattutto da Ungheria e Cina. Come ha ricordato di recente Coldiretti “quasi due barattoli di miele su tre sono stranieri”.