Due vicende di cui ho già scritto in questo blog, quella del giornalista marocchino Omar Radi e dell’azienda israeliana Nso Group, il primo recentemente condannato e la seconda attualmente protagonista del mercato della tecnologia per il contrasto al Covid-19, si uniscono in uno sviluppo inquietante.

A causa del suo lavoro, Radi è una delle spine nel fianco delle autorità marocchine. Da anni denuncia la corruzione, i conflitti d’interesse e le violazioni dei diritti umani. Il 17 marzo è stato condannato a quattro mesi di carcere, con sospensione della pena, a causa di un tweet dell’aprile 2019 in cui aveva criticato il processo iniquo subito dai dirigenti del movimento Hirak el-Rif.

Gli esperti di Amnesty Tech hanno analizzato l’iPhone di Radi scoprendo che, almeno fino all’inizio del 2020, era stato sottoposto a una serie di “spiate”, grazie al software Pegasus, prodotto da Nso Group, che si era installato nel suo apparecchio.

Il governo marocchino è stato per anni un cliente dell’azienda israeliana, la quale anche recentemente ha continuato a difendersi sostenendo che Pegasus era stato progettato a scopo di antiterrorismo e dichiarando che non l’avrebbe più messo a disposizione dei governi per commettere violazioni dei diritti umani.

Le cose però devono essere andate avanti perché, all’inizio di giugno, un portale spesso utilizzato dai servizi segreti militari marocchini per screditare i giornalisti ha diffuso i contenuti di una conversazione telefonica che Radi aveva avuto con un ricercatore statunitense.

Amnesty International è parte di una causa promossa contro il ministero della Difesa israeliano, responsabile dell’emissione delle licenze che autorizzano Nso Group a vendere i propri prodotti all’estero. A Nso Group ha fatto causa anche Facebook dopo la scoperta di una vulnerabilità, anch’essa riconducibile all’azienda israeliana, in Whatsapp usata per intercettare le comunicazioni di almeno 100 difensori dei diritti umani.

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