C’è da chiedersi perché un governo costituzionale abbia affidato al buio a un manager privato – Vittorio Colao –, coadiuvato da un team di docenti, esperti e professionisti, l’elaborazione di un piano per il rilancio dell’economia italiana, dopo la serrata imposta dalla pandemia, ricevendone un contributo che assomiglia ad un manifesto della scuola di Chicago con quarant’anni di ritardo. Sembrerebbe che la storia non abbia ripreso nelle sue mani il secolo ed abbia espulso la politica. Ma, mi chiedo, perché non viene definita una strategia di medio periodo per la ripartenza del Paese?

Qui intervengo su una questione di estrema attualità anche per i suoi rapporti con le emergenze che riguardano il futuro dell’umanità, partendo da quanto è già a disposizione, seppure ignorato, sul fronte energetico: una rivoluzione in termini di decarbonizzazione e di riconversione produttiva e occupazionale di assoluta indispensabilità.

Si direbbe che l’intera questione energetica, che riguarda vite, territori, salute, posti di lavoro, sia tenuta lontana dalla decisione politica e resa impermeabile al dibattito democratico, proprio quando siamo all’emergenza di possibili licenziamenti di massa, e di un declino industriale imprevisto per le dimensioni con cui si presenterà se il modello di sviluppo dovesse rimanere inalterato.

Sta proprio alla società intera e al sindacato in particolare non mostrarsi balbettante e compatibilista, per pretendere che il futuro non sia il ritorno alla “normalità” di prima. Qui suggerisco di prendere in grande considerazione il contributo che su base europea ha fornito un gruppo di lavoro molto prestigioso, accreditato e documentatissimo, che ha già portato al tavolo della Ue le sue proposte nella completa ignoranza del mondo politico e dei media italiani.

Riprendo le proposte che Solar power Europe e la prestigiosa Università finlandese Lut hanno avanzato in un paper articolatissimo e documentato sotto il profilo scientifico, tecnologico ed economico, presentando un sistema di energia rinnovabile al 100%, che consenta all’Ue di portare a zero le emissioni climalteranti prima del 2050, ricorrendo al 100% di rinnovabili e con oltre quattro milioni di nuovi occupati nei settori riconverti.

In oltre 60 pagine di grafici e comparazioni, emerge un quadro di impegno di politica industriale, formazione, ricerca e comportamenti sociali del tutto sconvolgenti rispetto alle tendenze oggi in atto nei settori di generazione, stoccaggio e distribuzione di energia, trasporti e calore. Qui elenco alcuni spunti in sintesi: suggestioni realistiche e comprovate, che qualsiasi governo e la stessa proclamata prospettiva di rilancio di un’Europa unita e concorde non possono ignorare, se non sottovalutando le emergenze climatiche, sociali e occupazionali che seguiranno alla pandemia.

I capisaldi della riconversione, avanzata con uno straordinario corredo di immagini che suggerisco di analizzare, si possono così riassumere:

1) L’energia solare è destinata a generare oltre il 60% dell’elettricità dell’Ue entro il 2050 e l’eolico è il secondo pilastro per accedere a fonti esclusivamente rinnovabili.

2) Per raggiungere questo obiettivo, il sistema energetico dell’Ue necessita di un alto tasso di elettrificazione e integrazione settoriale.

3) La Commissione europea deve imporre uno scenario di energia rinnovabile al 100% vincolante per legge e destinare alla sua attuazione le risorse messe a disposizione del piano di riconversione chiamato enfaticamente, ma, per ora, solo retoricamente, Green New Deal.

4) Il vantaggio economico di una soluzione radicale e ad alta ambizione (100% rinnovabili, 1,5°C aumento di temperatura e zero Chg, rispetto a 66%, +2°C e 92% in uno scenari ritardato) comporta costi energetici unitari inferiori e dimostra che il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 è più conveniente rispetto a qualsiasi livello di ambizione inferiore, raggiunto per faticosi step ritardati e forieri di grandi svantaggi economici e ambientali.

Se lo studio venisse applicato in tutte le articolazioni previste (per singole Nazioni e, addirittura, per distinte cadenze stagionali), ne risulterebbe un sistema energetico europeo meno dipendente dalle importazioni e più resistente agli equilibri geopolitici, oltre che desiderabile certamente per le nuove generazioni anche perché comporterebbe lavoro qualificato per 6 milioni di unità.

Verrebbe finalmente rispettato l’accordo di Parigi, non superando l’aumento di temperatura di 1,5°C senza ricorrere affatto al sequestro di CO2 sottoterra. I guadagni in termini di resa e risparmio sarebbero assai significativi, garantendo una forte integrazione intersettoriale ed eliminando il ricorso alle fonti fossili anche nei settori del trasporto e dell’industria ad alto contenuto di calore.

Infatti, gli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno da rinnovabili diventerebbero una tecnologia cruciale per lo scenario previsto, al punto che dal 2030 in poi, l’idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili contribuirebbe alla piena decarbonizzazione, diventando il secondo vettore chiave di energia in Europa. Ovviamente, lo stoccaggio dell’elettricità assumerebbe importanza sempre maggiore nel fornire un approvvigionamento energetico ininterrotto, con un contributo di batterie, a prezzi sempre più ridotti, fino al 70% dello stoccaggio.

Si tratta di un approccio evidentemente rivoluzionario e non certo in linea con le politiche energetiche correnti. Eppure, nel rapporto Solar Power & Lut si dimostra che un sistema di energia rinnovabile al 100% e a neutralità climatica è assolutamente possibile dal punto di vista tecnico ed economico in Europa già al 2050.

Sappiamo bene che, da un punto di vista politico e sociale, la questione è tutt’altro che risolta. Fortissime saranno le resistenze ad un modello che si rivela realizzabile solo sovvertendo gli interessi oggi prevalenti. Proprio qui il ruolo del sindacato e delle nuove generazioni potrebbe essere risolutivo.

L’enciclica Laudato Sì sembrerebbe l’ispiratrice di un tale “sovvertimento”, non solo tecnico-scientifico; naturalmente, occorrerà anche una conversione individuale e collettiva a nuovi modelli di produzione e consumo. La posta è tuttavia talmente elevata da meritare la partita. Il nostro Paese, l’Europa, il Pianeta hanno bisogno delle migliori energie intellettuali e sociali oltre che fisiche per una transizione ecologica e socialmente giusta.

Le misure finora proposte non sono all’altezza del compito; sta quindi anche alle organizzazioni della società civile e ai movimenti sociali e alla loro maturità se si riuscirà a tracciare un percorso diverso e possibile.

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