A ricordare il grande attore, con le sue memorabili interpretazioni e le sue interviste da rivedere, anche il presidente Mattarella: “La forza della sua recitazione, frutto di impegno e di studio tenaci, si è unita a una straordinaria ecletticità"
“Io sono nato bugiardo e ho scelto il mestiere della falsificazione programmatica”. Ricorrono vent’anni dalla morte di Vittorio Gassman. Ed eccolo ancora una volta il recupero fugace, il ricordo improvviso, i frammenti di cinema e delle apparizioni tv, in cui ricorre la sua straordinaria, dolente e sincera dualità personale e professionale. Gli applausi composti dai palchi in galleria per il bravo attore e le risate scomposte in platea per il guitto comico. L’apparente sicurezza dell’artista navigato e l’insicurezza dell’uomo intimamente fragile. L’aulica e impostata declamazione dei versi danteschi e il ribaltamento ironico dell’altrettanto impostata ed aulica lettura di un menù o degli ingredienti dei biscotti. Nello stesso film, il Sorpasso di Dino Risi, il gigioneggiare smargiasso e spaccone e il budino risucchiato in un sol boccone quando meno te lo aspetti. Le imbellettate interpretazioni ne Il deserto dei tartari, nei film di Altman ad Hollywood, del boss malavitoso in Sleepers e la memorabile e distruttiva sequenza comico surreale di Hostaria con Tognazzi ne I Nuovi Mostri. Infine, dalle manie di grandezza del “mattatore” alla composta autoderisione dell’uomo. L’ha spiegato perfino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nelle scorse ore: “La forza della sua recitazione, frutto di impegno e di studio tenaci, si è unita a una straordinaria ecletticità: ne sono dimostrazione i numerosi e indimenticabili personaggi, drammatici o comici, a cui ha dato volto e voce in scena”. Gassman felice di interpretare finalmente una commedia – I soliti ignoti (1958) per Monicelli – dopo “30 film orrendi”. Gassman che ricorda l’origine della professione dell’attore di fronte ad Enzo Biagi: “Come da sua natura l’attore ideale è un misto tra una puttana e un sacerdote”. E ancora con Biagi fa riemergere la celebre tigna: “Fra i miei meriti potrei ascrivere una volontà un po’ discontinua, direi rabbiosa, non una volontà morale. Anche i miei nemici più cari me l’hanno riconosciuta, imputandola anche come difetto. Più che la volontà si tratta in gergo familiare e sportivo, della tigna”. O ancora in uno splendido programma del 1996, intitolato I Perdenti, confessa a Claudio G. Fava e Gloria De Antoni il suo grazioso fallimento cinquantennale: “Mi dichiaro perdente, ma aggiungo qualche aggettivo in quanto pur essendo un uomo fortunato che ha avuto anche successo, pur essendo bellissimo e forte, il meglio che ci possa essere, io sono stato bravo solamente nelle apparenze, nei decimali della vita, mentre nelle cifre intere mi sono sempre trovato impreparato”.
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