Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)
La distanza dalla porta è circa venticinque metri. I tempi supplementari a Verona sono iniziati da appena due minuti. Sono gli ottavi di finale di Italia 90 e Spagna e Jugoslavia sono sull’uno a uno. La palla viene sistema dal numero dieci della nazionale di Ivica Osim. È Dragan Stojkovic, il giocatore più talentuoso della formazione slava. Per la sua statura (173 cm) è soprannominato “Piksi”. La sua è una rincorsa lungo ma lenta. Si avvicina alla sfera passeggiando per poi scattare in prossimità del pallone. Il suo destro a giro è perfetto. Aggira la barriera e si infila nell’angolino dove Zubizarreta non può arrivare. È la rete del nuovo vantaggio, quella che vale i quarti di finale. Per lui è doppietta. Il primo gol lo ha segnato quando mancavano dodici minuti al termine dei regolamentari e le due squadre erano ancora sullo zero a zero. Il suo stop in area piccola è insieme un dribbling secco a Manolo Jimenez. Il piatto destro è preciso e angolato. Cinque minuti dopo arriverà il pareggio di Salinas che allunga il sfida. Quella contro la Spagna è l’ultima vittoria jugoslava in una rassegna mondiale.
I Plavi si sono qualificati con grande autorità per l’edizione italiana. Sei vittorie, due pareggi e zero sconfitte, mettendosi dietro Scozia, Francia, Norvegia e Cipro. È la nazionale dei giovani Darko Pancev, Davor Suker, Robert Prosinecki e Dejan Savicevic e dei veterani Safet Susic, Zlatko Vujovic e il portiere Tomislav Ivkovic. Tutto però gira attorno a quel 25enne, nativo di Nis, dalla personalità straripante e dalla grande visione di gioco. In campo come fuori. Nei Balcani nessuno è come lui. Arriva a Italia 90 che è già una stella del panorama europeo. È il punto di riferimento della Stella Rossa e l’Italia ha imparato a conoscerlo un anno prima, quando con i biancorossi di Belgrado dà vita a un quarto di finale di Coppa Campioni entusiasmante e tiratissimo contro il Milan di Arrigo Sacchi.
Il 30 giugno, nei quarti di finale, la rivale è l’Argentina di Maradona. A Firenze è una partita apatica. Tutti si aspettano una sfida nella sfida. Stojkovic contro Maradona. Ed invece le occasioni latitano e i due numeri dieci non mantengono fede alle attese. Lo zero a zero non si schioda e i rigori sono inevitabili. I biancocelesti sbagliano due volte (tra questi c’è anche Maradona). La Jugoslavia però tre. Se il tiro dagli undici metri di Hadzibegic decreta l’eliminazione degli slavi, è la traversa di Stojkovic a fare più rumore. La delusione è enorme.
Dopo Italia 90 Stojkovic si trasferisce in Francia, all’Olympique di Marsiglia. Undici mesi dopo l’errore contro l’Argentina, è chiamato a un altro calcio di rigore. L’appuntamento è la finale di Coppa Campioni 1991. È il 29 maggio. A Bari l’avversario è quello più duro: la Stella Rossa. La prima volta in finale per entrambe le formazioni si fa sentire. La voglia di non scoprirsi domina e di occasioni ce ne sono poche. Si arriva ai rigori. Stojkovic è entrato nei supplementari in vista della lotteria dagli undici metri. Per lui i minuti sono stati appena otto. L’allenatore Raymond Goethals lo designa ma lui si rifiuta. Non può tirare quel rigore, e non solo per una questione d’amore verso i colori belgradesi: “Se da jugoslavo lo sbaglio, i marsigliesi mi uccidono in campo. E se segno, non potrò più ritornare al mio Paese”. L’errore di Amoros risulta fatale per i francesi. Per la stampa transalpina il grande responsabile della sconfitta è proprio Piksi.
A Marsiglia non può più stare. È Verona ad accogliere le gesta di Stojkovic. Proprio la città dove un anno prima aveva incantato Italia 90. Stavolta però il Bentegodi non vedrà meraviglie. La sua annata è deludente. L’ambientamento con la Serie A è difficile, le partite poche e le reti ancora meno, appena una. Ritorna a Marsiglia ma le cose non cambiano. In Francia rimane altri due anni, vincendo una Champions League. Per Goethals è una seconda scelta. Nella finale di Monaco di Baviera contro il Milan nemmeno scende in campo. Decide di emigrare in Giappone nel 1994, al Nagoya Grampus, dove gioca per sette anni, ritrovando le magnifiche punizioni e la sua grande capacità di lanciare lungo e in profondità.
Il Giappone però è un calcio lontano e dal basso tasso tecnico. Stojkovic esce dai radar del calcio internazionale, rientrandovi soltanto in due occasioni, Francia 1998 e Euro 2000. In Belgio e Olanda non lascia il segno, ma al mondiale mostra ai francesi tutto quello che non era riuscito a esprimere con la casacca del Marsiglia. Quella che si presenta in Francia è una nazionale ridimensionata dalla guerra civile. La squadra ormai rappresenta soltanto la Repubblica Federale di Jugoslavia. Dopo aver trascina i suoi nelle qualificazioni con due reti e con il suo carisma, Stojkovic spinge gli slavi fino agli ottavi di finale persi contro l’Olanda. Per lui c’è anche il ritorno al gol in una fase finale iridata, nel due a due contro la Germania. Sono passati otto anni da quella doppietta alla Spagna che aveva dato l’illusione a un intero paese di essere finalmente pronto per una grande vittoria internazionale.