Con il provvedimento favorevole del Riesame di Napoli, che ne ha annullato l’arresto per corruzione sollecitato dalla Procura di Torre Annunziata nell’ambito dell’indagine sulla riqualificazione dell’ex area Cirio di Castellammare di Stabia (Napoli), anche stavolta il senatore di Forza Italia Luigi ‘a Purpetta’ Cesaro ha goduto di uno scudo anti intercettazioni. Infatti, per una irripetibile coincidenza di fatti e circostanze slegate tra loro, nessuna delle inchieste giudiziarie su Cesaro – se ne calcolano almeno tre – ha potuto finora far leva sulle conversazioni ascoltate sui telefonini, nelle auto, nelle stanze dei suoi collaboratori o coindagati.
Ed è andata così anche in questo caso: il Riesame presieduto da Antonio Pepe, giudice estensore Alessandra Maddalena, ha dichiarato ‘inutilizzabili’ le intercettazioni telefoniche ed ambientali indirette che accusano Cesaro. Erano state disposte in un’indagine per camorra della Dda di Napoli sull’imprenditore Adolfo Greco, il ‘dominus’ dell’operazione Cirio. Secondo gli inquirenti, Greco avrebbe regalato 10mila euro al parlamentare per ingraziarselo. All’epoca Cesaro era deputato e presidente della Provincia di Napoli, l’ente che nominò il commissario ad acta – architetto che divideva lo studio con uno dei figli di Cesaro – che firmò il permesso a costruire per un maxi complesso residenziale poi mai realizzato.
Quelle conversazioni però non potevano essere usate in un altro procedimento per corruzione, trasmesso a Torre Annunziata per competenza territoriale, per due ragioni. La prima: non esiste ‘connessione’ e ‘un medesimo disegno criminoso’ tra le due vicende, come richiesto dal codice e da una recente sentenza di Cassazione che ha stretto le maglie. La seconda: il Gip avrebbe sbagliato ad affermare che i decreti autorizzativi delle intercettazioni di Greco coprivano anche i reati di pubblica amministrazione. Il Riesame sostiene invece che le intercettazioni furono disposte per 416 bis contro Greco e nei decreti autorizzativi ci sono solo vaghi e sporadici accenni a probabili reati di pubblica amministrazione. “È la concreta lettura dei provvedimenti di intercettazione a rendere palese come, all’atto della loro emissione o proroga, non sia stato effettuato dal Gip – né richiesto dal pm – alcun vaglio circa la sussistenza di gravi indizi del reato di corruzione”, si legge nel provvedimento che straccia in mille pezzi l’ordinanza notificata il 15 maggio scorso.
E senza le intercettazioni le indagini contro Cesaro potrebbero andare a picco: restano tracce di consegne di denaro verso altri soggetti, accertate dalla polizia che perquisì i tecnici coinvolti nel progetto, anche loro arrestati per corruzione, trovando buste piene di banconote. Ma quei soldi, slegati dalla “voce narrante” delle intercettazioni, potrebbero essere spiegati in mille modi e le relative accuse non reggerebbero al dibattimento. Quindi lo ‘scudo spaziale’ di Cesaro – un cocktail di norme, codicilli, eccellenti avvocati, protezione politica nella giunta per le autorizzazioni a procedere e buona sorte – funziona, è indistruttibile. In questo caso ha protetto anche il deputato di Forza Italia Antonio Pentangelo (arresto annullato anche per lui) accusato di aver ricevuto utilità e un Rolex, che fu presidente facente funzioni della Provincia di Napoli ed ebbe un ruolo nella vicenda Cirio.
Intanto sono due anni che i magistrati del Tribunale di Napoli Nord attendono il via libera di Palazzo Madama per utilizzare le intercettazioni a carico di Luigi Cesaro nel procedimento per voto di scambio alle elezioni regionali 2015, la cavalcata trionfale del figlio Armando verso lo scranno di capogruppo. Quando i tempi standard dovrebbero essere un mese o poco più. Due anni sprecati in un surreale palleggio tra Camera e Senato, che hanno dimenticato il principio secondo il quale è competente la camera di appartenenza del parlamentare al momento della trasmissione delle carte. Mentre un Gip di Napoli ha congelato un’altra richiesta di arresto di Cesaro da parte della Dda di Napoli, formulata nell’ambito di una maxi indagine sui clan camorristici di Sant’Antimo, 59 misure cautelari. L’ordinanza è stata eseguita il 9 giugno ed ha riguardato tutti i fratelli imprenditori di Cesaro: due sono finiti ai domiciliari, il terzo in carcere. Ma a proposito del senatore, il giudice vuole aspettare le decisioni del Senato sull’utilizzabilità o meno di altre 31 intercettazioni captate sul cellulare di un altro indagato, prima di prendere una decisione. E quasi certamente lo scudo spaziale di Luigi Cesaro avrà la meglio.