Mentre in Italia la maggioranza di governo si accapiglia sul ricorso o meno ai fondi del Meccanismo europeo di stabilità per la sanità, in Europa non c’è per ora nessuna corsa e, tanto meno, nessuna fila per ottenere quei prestiti. Tra i Paesi che, oltre all’Italia, in teoria dovrebbero ottenere i maggiori benefici – ossia Grecia, Spagna, Portogallo – nessuno ha sinora avanzato una richiesta. Neppure Cipro, contrariamente a quanto era stato anticipato, ha ancora deciso di attingere al fondo, come ha dovuto in più occasioni puntualizzare il ministro dell’Economia dell’isola, Kostantinos Petidres. Tutta questa convenienza evidentemente non c’è, a dispetto del coro dei principali giornali italiani, dal Corriere della Sera a Repubblica passando per Il Sole 24 Ore, che ripetono all’unisono che quei soldi devono essere presi.
Innanzitutto, vale la pena ripetere che si tratta di prestiti, da restituire nell’arco di massimo dieci anni, esattamente come se si trattasse di titoli di Stato. E come i titoli di Stato, i soldi del Meccanismo Europeo di Stabilità fanno aumentare il debito pubblico di chi li chiede. I fondi Mes hanno un unico vantaggio: interessi più bassi. Almeno per paesi come l’Italia che sulle lunghe scadenze devono ancora pagare degli interessi per finanziarsi sui mercati. Tuttavia anche questo risparmio è più ipotetico che certo, a causa del rischio del cosiddetto “effetto stigma”. Ossia il pericolo di fare brutta figura, dimostrando di aver bisogno di ricorrere ad aiuti esterni invece che contare sulle proprie forze. E provocando quindi una maggiore diffidenza da parte degli investitori.
Specie per un paese “periferico”, quale viene considerato il nostro, i mercati non fanno sottili distinzioni su condizionalità e tecnicalità del prestito. Guardano velocemente al segnale che arriva e reagiscono di conseguenza. È dunque importante anche il come e il quando si chiede accesso ai finanziamenti Mes. Un conto sarebbe una richiesta ordinata, meglio se coordinata tra più Stati, con la Spagna innanzitutto. Diversa una richiesta singola e improvvisa, che aumenterebbe la sensazione di un Paese in difficoltà.
Un’altra questione da porsi è se il gioco valga la candela. L’Italia può chiedere un prestito fino al 2% del suo Pil, ossia circa 37 miliardi di euro, pagando un interesse di poco meno dello 0,1% l’anno per 10 anni. Se invece raccogliesse questi fondi sui mercati, emettendo Btp decennali, dovrebbe pagare circa l’ 1,3% l’anno (l’attuale rendimento di un Btp), vale a dire 480 milioni. Il risparmio è insomma intorno ai 440 milioni anno, quando la spesa che ogni anno sopportiamo per gli interessi sul nostro debito è di 70 miliardi di euro.
Basterebbe però davvero poco per far sparire nel nulla anche questo beneficio. Ogni anno il nostro paese piazza sul mercato titoli per un valore tra i 300 e i 400 miliardi. Anche un eventuale piccolo rialzo degli interessi, dettato da una maggior prudenza degli investitori, sarebbe sufficiente ad azzerare completamente i benefici del ricorso al Mes. Sostenere, come fa da ultimo il Corriere della Sera, che eventuali risparmi liberino risorse per scuole o per ridurre il debito pubblico è operazione piuttosto fuorviante. Stiamo parlando, nella migliore delle ipotesi, di 4,8 miliardi di risparmi in 10 anni su una spesa per interessi di 700 miliardi o una spesa pubblica di 6mila miliardi di euro. E 4,8 miliardi di euro riducono il nostro debito dello 0,2%. Così come è difficile sostenere che gli altri paesi non prendono i soldi perché conviene meno che all’Italia. Se ci fossero solo pro e nessun contro, non si vede perché dovrebbero rinunciare anche se ha fronte di minori risparmi.
Queste cifre sono utili per ricondurre la questione alle giuste proporzioni e attenuare il frastuono della gran cassa mediatica che, da mesi, spinge perché il governo chieda il prestito. Se si è davvero convinti della necessità di dover riformare e rafforzare la sanità lo si dovrebbe fare indipendentemente dalla forma di finanziamento. Il Mes, come visto, non cambia la sostanza delle cose, né l’entità dello sforzo finanziario che il paese dovrebbe sopportare. Lo ha ricordato anche il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che ha indicato la necessità di un approccio pragmatico e non ideologico alla questione. Senza negare possibili vantaggi ma anche valutandoli nella loro corretta dimensione. Modesta.
Ma alle valutazioni prettamente finanziarie si sovrappongono quelle politiche. Sul doppio fronte, interno ed esterno. A Roma il Mes è diventato oggetto di una prova di forza tra parti della maggioranza e la questione ha così assunto proporzioni che poco hanno a che fare con la realtà delle cose. Il dibattito sottende naturalmente un diverso atteggiamento verso l’Europa come è oggi. Un’adesione pressoché incondizionata da parte di Italia Viva e buona parte del PD, un approccio più critico e prudente sul versante 5 stelle. Si è fatto l’esempio di un privato che chiede un mutuo per una casa. Il Mes sarebbe l’equivalente della banca che offre le condizioni migliori. Insensato dunque sceglierne un’altra. Vero, ma fino a un certo punto. Come abbiamo visto, che le condizioni siano davvero le migliori non è così certo, e si tratterebbe comunque di una differenza contenuta. Inoltre quando si chiede un prestito la fiducia in chi lo concede è altrettanto importante delle condizioni a cui viene erogato.
Diversi paesi dubitano di avere alla fine un trattamento così amichevole da parte di Bruxelles. E la prudenza non è del tutto ingiustificata se si guarda al modo in cui sono state gestite le crisi di paesi come Grecia, Spagna e Portogallo, ossia con pesanti ingerenze nelle politiche economiche, a danno soprattutto dei ceti più deboli. E’ vero che i prestito per la sanità non prevede condizionalità esplicite. Non vengono cioè chiesti interventi sulla finanza pubblica o riforme, per farne uso. Ma c’è comunque un appiglio per una successiva possibile ingerenza delle istituzioni europee. Crescendo il debito pubblico, una volta che i vincoli di finanza pubblica previsti dai trattati europei saranno ripristinati, potrebbero aumentare le pressioni di Bruxelles.