Si erano presi con la forza un albergo a 4 stelle affacciato sul mare a Finale Ligure, in provincia di Savona, dove pretendevano soggiorni gratis nelle suite, anche nei periodi di chiusura della struttura. Minacciavano, estorcevano e prestavano soldi a strozzo: il tutto prospettando alle vittime l’appartenenza alla ‘ndrangheta di Alfonso Pio, 52 anni e figlio di Domenico Pio presunto boss della locale di Desio arrestato nella maxi inchiesta Infinito del 2010.
C0sì suo figlio sarebbe diventato il “padrone” di fatto dell’Hotel del Golfo di Finale Ligure, come ricostruisce il giudice per le indagini preliminari di Milano, Guido Salvini, nell’ordinanza che lo ha portato in carcere insieme ad altre 3 persone su richiesta dei pm Adriano Scudieri e Francesco Cajani al termine dell’indagine condotta dalla Polizia postale. Nel 2018 insieme ad un altro degli arrestati, Omar Petrocca, “con minacce” Pio avrebbe costretto i soci della Confort Hotels&Resorts srl, “società proprietaria dell’Hotel del Golfo”, a consegnare allo stesso Petrocca “i certificati cartacei attestanti la titolarità delle quote della società”. E ciò per “ottenere il controllo di quest’ultima, senza dar seguito al contratto preliminare di vendita delle medesime quote già stipulato” con un altro socio. E anche in altri casi avrebbe fatto valere la sua “appartenenza” alla ‘ndrangheta per imporsi sulle “vittime”.
Fin dal 2016, poi, avrebbe imposto che la sua compagna Nelli Gubina, detta Stella, “soggiornasse gratuitamente in una suite a lei riservata, sia nella stagione estiva che in quella invernale nonostante l’hotel fosse chiuso al pubblico da ottobre ad aprile”. Nel giugno 2018 avrebbe anche minacciato “di morte” un dipendente dell’hotel dicendogli “che Stella ‘può prendere quello che vuole … sono io il capo’”. Uno dei soci della società titolare dell’albergo aveva fatto notare che quel soggiorno “non era mai stato registrato in hotel” ed era “maturato un debito insoluto di oltre 124mila euro”. La donna, ha spiegato il socio, “si muoveva con padronanza negli ambienti riservati al personale”. Mentre il primo agosto 2018 lo avrebbe picchiato “impossessandosi dei contanti presenti in cassa”.
“Prendiamo in mano la situazione spiaggia e tutte cose!! (…) tanto li prendiamo 6-700.000 in tre mesi”, diceva riferendosi all’operazione con la quale avrebbe assunto il controllo dell’hotel in Liguria. Si comportava da padrone: “Str…. parla piano…faccia di mer… ti taglio la testa”, erano le minacce rivolte a un dipendente dell’hotel di Finale Ligure. Tra gli arrestati anche Ezio Mario Scirea, “soggetto – si legge nell’ordinanza – propenso ad attività finanziarie di natura illecita potendo egli stesso contare sull’esperienza maturata all’interno della sua professione di promotore finanziario per la Banca Mediolanum”. L’appartenenza alla ‘ndrangheta di Pio, si legge nell’ordinanza, veniva prospettata “anche da Petrocca in alcuni colloqui” con uno dei soci della società dell’hotel. Petrocca diceva che Pio era una persona “difficile da far ragionare”.
A Pio e a Scirea viene contestato anche un episodio di usura. Si sarebbero fatti “dare e promettere”, tra il 2018 e il 2019, da un imprenditore in crisi, come corrispettivo di un prestito di 10mila euro, “interessi usurari pari a circa il 5% del capitale su base mensile”. Inoltre a Pio, Scirea e Francisc Kelemen, romeno e anche lui arrestato, viene contestata anche un’altra estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver cercato di costringere con minacce una persona a consegnare loro 300mila euro, che dovevano servire sulla carta per “un progetto in Africa”. E avevano cercato di farsi restituire dalla stessa persona altri 135mila euro.
Nel novembre del 2019, però, la vittima dell’estorsione aveva sporto denuncia. Scirea, come emerso nell’inchiesta, aveva minacciato la vittima dicendo che “aveva conoscenze con mafiosi e in un modo o nell’altro dobbiamo risolvere” e aveva fatto recapitare nella casetta della posta dell’abitazione della vittima un biglietto anonimo con scritto “siamo passati a trovarti”. Kelemen, poi, avrebbe inviato un messaggio WhatsApp sul telefono della moglie della vittima con scritto “domani alle 13 sarò anche io al ristorante”, locale dove si sarebbe tenuto il ricevimento per la comunione della figlia della coppia. E ancora telefonate anonime ai genitori della vittima con messaggi intimidatorio come “Verranno a prenderlo e picchiarlo ed ammazzarlo di botte”.
Pio, si legge sempre nell’ordinanza, è “parte attiva nei prestiti di danaro, a tasso usuraio, verso imprenditori in difficoltà, sperimentando più volte la capacità di insidiarsi in attività economiche” ricorrendo anche a “intimidazioni, pur di trarne beneficio”. Ed è “senza remora quando deve minacciare gravemente di morte chi non rispetta le sue disposizioni”. A riguardo, una nota degli investigatori allegata agli atti, parla del “tentativo da parte di famiglie mafiose di mettere le mani su realtà imprenditoriali in crisi, mediante iniezione di capitali ‘freschi’ ed utilizzo, ove necessario, di metodi intimidatori per ottenere il controllo di attività economiche di rilievo”.
Pio si sarebbe anche messo a disposizione lo scorso gennaio per una “azione di rappresaglia” con “mezzi militari”, così definiti dal gip, contro persone descritte con l’appellativo di “zingari” per “recuperare” 850mila euro per conto di un’altra persona, un russo. Un episodio che non rientra nelle contestazioni e di cui si parla nell’ordinanza. Pio, infatti, è “l’interlocutore principale a cui si rivolgono altri gruppi criminali per risolvere situazioni” in Lombardia “finalizzate al rintraccio” di debitori o “per compiere azioni punitive”.
Kelemen, che era nel clan di Pio, viene descritto come uomo “in contatto con ex miliziani serbi divenuti militari mercenari, noti come la Pantera rosa”. Nel luglio 2018, tra l’altro, Pio avrebbe commissionato “una spedizione punitiva nei confronti” di un “imprenditore brianzolo”, coinvolto in un’intricata vicenda di un prestito da 300mila euro, “titolare di un’azienda leader mondiale nella produzione di macchine in grado di produrre vernici per i fari”. Imprenditore di cui, risulta dall’ordinanza, Scirea, professionista anche lui arrestato, avrebbe gestito “il patrimonio lecito e illecito”.