Gli europarlamentari italiani sono tra i meno trasparenti di tutta l’Unione europea quando si tratta di dichiarare di aver intrattenuto rapporti con i lobbisti. Lo riporta Transparency International pubblicando un aggiornamento della piattaforma di raccolta dati Integrity Watch che si occupa proprio di monitorare l’attività delle lobby nei corridoi delle istituzioni europee. Solo cinque membri italiani della plenaria hanno pubblicato online la segnalazione di almeno un incontro con ong, rappresentanti di interessi o aziende nell’attuale legislatura: una percentuale molto bassa, il 6,6%, che colloca l’Italia nelle parti basse della classifica tra gli Stati membri, seguita solo da Bulgaria (5,9%), Grecia (4,8%) Cipro e Croazia (0%). Percentuali ben diverse da quelle dei Paesi che contano il maggior numero di segnalazioni: la Svezia (90%), il Lussemburgo (83%), la Finlandia (71%), i Paesi Bassi (65%) e la Danimarca (64%).
I rappresentanti italiani che hanno certificato almeno un incontro sono Irene Tinagli del gruppo dei Socialisti e Democratici e Marco Zanni, Andrea Caroppo, Marco Dreosto e Rosanna Conte del gruppo Identità e Democrazia. Una procedura, questa, prevista dal nuovo regolamento del Parlamento Ue adottato a gennaio 2019 proprio con l’obiettivo di rendere le istituzioni di Bruxelles più trasparenti: i presidenti delle commissioni parlamentari, i relatori e i relatori ombra dovrebbero pubblicare tutti gli incontri relativi ai rapporti in discussione nelle commissioni su un sistema interno al Parlamento, mentre gli eurodeputati possono decidere anche di renderli pubblici sulla propria pagina web.
Ma allargando lo sguardo su tutta la plenaria, le percentuali di chi ha fornito queste informazioni restano basse: sono 259 su 704 gli europarlamentari che hanno reso pubblici 8.310 incontri, poco più di un terzo. Per quanto riguarda i presidenti delle commissioni, solo 16 su 22 hanno pubblicato incontri con lobbisti. Per i membri del Parlamento che non ricoprono incarichi, invece, la pubblicazione degli incontri resta volontaria.
Tra i gruppi più attenti alla trasparenza ci sono i Verdi Efa (91%) e Renew Europe (57%), con oltre la metà dei propri membri che ha pubblicato le riunioni con le lobby nell’ultimo anno. A seguire il gruppo S&D (45%), la sinistra Ue Gue/Ngl (38%), il Ppe (23%), Ecr (17,7%). I parlamentari del gruppo Identità e Democrazia ne pubblicano meno di tutti (8%).
Tra i gruppi di pressione, aziende e ong che più hanno investito in attività di Lobby ci sono la Uniòn General De Trabajadores De Las Comunicaciones spagnola, con oltre 20 milioni di euro. Seguono lo European Chemical Industry Council con 10,5 milioni, I.R.I.S Solutions & Experts con 10, Sintes Af con 8,5, Pillar Project Worldwide Ltd con 8,3 e Google con 8.
Il Paese dal quale proviene il maggior numero di lobbisti è il Belgio, ma in questo caso a influire è anche il fatto che la maggior parte dei lavori delle istituzioni europee si svolgano a Bruxelles. Non è infatti detto che tutti questi facciano riferimento ad aziende belghe. Seguono la Germania, la Francia, il Regno Unito, la Spagna e l’Italia. La maggior parte di loro (6.261) sono aziende, seguite da ong (3.152) e think tanks (895).