Amedeo Franco, il giudice di Cassazione registrato mentre dialoga con l'ex premier, nel 2017 fu indagato dalla procura di Roma per corruzione. L'inchiesta venne archiviata per morte del reo. Secondo l'accusa da pensionato si era mosso (senza successo) per favorire il "re delle cliniche"(poi pure lui archiviato) in due procedimenti giunti in Cassazione. In cambio gli sarebbe stato promesso un certificato medico legale falso per far ottenere una plastica al seno dal Servizio sanitario nazionale a un'amica brasiliana
Fu accusato di corruzione in un’indagine in cui l’indagato principale era il deputato di Forza Italia Antonio Angelucci, re delle cliniche romane. E la presunta tangente era delle più inedite: un certificato medico falso per una sua amica brasiliana, che così avrebbe potuto rifarsi il seno senza pagare l’intervento. C’è anche questo precedente giudiziario – chiuso con l’archiviazione di tutti gli indagati – nel passato di Amedeo Franco, il giudice di Cassazione registrato mentre dialoga con Silvio Berlusconi. “A mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto. Hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo“, dice tra le altre cose il giudice all’ex premier, riferendosi alla sentenza della Suprema corte che nel 2013 aveva reso definitiva la sua condanna per frode fiscale. Piccolo particolare: di quel collegio della Suprema corte faceva parte anche Franco, che ne era il relatore e insieme agli altri quattro colleghi firmò le motivazioni della sentenza. Non mise agli atti il suo dissenso né denunciò pressioni davanti al Csm. E anzi fu lo stesso Franco che inviò il fascicolo alla sezione Feriale, come ha raccontato al Fatto Quotidiano il presidente di quel collegio Antonio Esposito.
Franco, però, non può chiarire il significato di quel dialogo registrato con Berlusconi: è morto infatti nel 2019. Per questo motivo – e cioè per la morte del reo – la procura di Roma ha chiesto e ottenuto l’archiviazione dell’indagine ai suoi danni per corruzione. Archiviati sono stati anche Angelucci e il terzo indagato di questa vicenda, il dirigente della Asl Roma 1 Maurizio Ferraresi. Nato in provincia di Benevento nel 1943, magistrato dal 1974, Franco è in Cassazione nel 1994: vent’anni dopo va in pensione. Poi, come ha ricordato Marco Travaglio, nel marzo 2017 finisce impigliato nell’indagine anticorruzione del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e del sostituto Corrado Fasanelli. L’indagato principale dell’inchiesta – accusato di traffico d’influenze – era Antonio Angelucci, editore, signore delle cliniche e da tre legislature parlamentare di Forza Italia. Secondo l’accusa per favorire Angelucci in due procedimenti giunti in Cassazione si era mosso un dirigente della Asl Roma 1, Ferraresi. A chi si era rivolto? Al giudice in pensione Franco. Al quale aveva promesso un certificato medico legale falso per un’amica brasiliana. Quel certificato sarebbe servito per ottenere una plastica al seno dal Servizio sanitario nazionale: e quindi senza pagare l’intervento. Nelle carte dell’inchiesta –raccontata nel marzo di tre anni fa dal Fatto Quotidiano – il gip Massimo Di Lauro spiegava che in cambio Franco sarebbe intervenuto “nei confronti di giudici appartenenti alla VI sezione della Cassazione per ottenere l’annullamento” di due ordinanze: una è sul sequestro preventivo di 7 milioni di euro emesso a Bari per il Consorzio San Raffaele, di cui viene definito “proprietario di fatto” Angelucci; l’altra per la causa di lavoro promossa da un medico contro il Consorzio.
Agli atti dell’indagine c’erano anche una serie di intercettazioni ambientali con le voci di Angelucci, Ferraresi e Franco. Il 29 agosto del 2016, mentre il deputato di Forza Italia si trovava nell’ufficio del dirigente dell’Asl, alla portone ecco il giudice Franco. “Questo è il presidente de Cassazione”, dice Angelucci. Ferraresi confermava e commentava: “Questi lo sai che hanno fatto? Questo si è fatto la strada a rompe’ er cazzo a Berlusconi; lascia perde’ quello che era Berlusconi quello che è… poi s’è rimagnato tutto… E se tu je lo parli addio, guarda nun je devi di’ ’n cazzo su Berlusconi”. Il riferimento evidente era alla sentenza per frode fiscale dell’ex premier. Dopo l’arrivo di Franco – continuano sempre le carte dell’inchiesta – Angelucci lascia la stanza: il giudice, dunque, restò da solo con quello che sarà il suo coindagato. “Domani mattina vado a vedere quando ci sta quel tizio”. “Me raccomando”, gli rispondeva l’altro. Secondo il gip “Franco aveva ottenuto un incontro con il presidente della sesta sezione Giacomo Paoloni (che non verrà mai coinvolto dall’inchiesta), convinto che la loro conoscenza lo avrebbe favorito. Paoloni viceversa rifiutava drasticamente ogni tentativo di ‘avvicinamento’”. Paoloni ha messo a verbale davanti ai pm: “Egli mi detto che non era interessato al merito del processo, ma intendeva segnalarmi la particolare questione di diritto che il processo poneva. Io gli ho assicurato che come mia abitudine avrei visto il ricorso con la consueta attenzione”. Alla fine il San Raffaele ha riavuto i 7 milioni, ma non per l’intervento di Franco ma per la “libera determinazione dei giudici”, scriveva ancora il gip. Che sottolinea più volte: “Paoloni troncò ogni discorso. A ciò si aggiunga la collegialità della decisione”. Esattamente come quella sul caso di Berlusconi: fu talmente collegiale che tutti i cinque giudici firmarono le motivazioni. Compreso Franco.