Il processo si è svolto con il rito abbreviato. Accolta la richiesta della procura, il giudice ha riconosciuto le attenuanti subvalenti rispetto alle aggravanti
“La giustizia ha fatto il suo corso”. Mariagrazia Chiri, mamma di Stefano Leo ucciso il 23 febbraio 2019 mentre camminava sul Lungo Po, commenta la condanna a 30 anni con il rito abbreviato di Said Mechaquat. Che confessò di voler uccidere una persona felice. Il 27enne con cittadinanza italiana e origini marocchine, processato a Torino, dopo essersi consegnato ai carabinieri, disse di avere voluto sfogare una situazione di disagio interiore e aggiunse che non conosceva la vittima.
“Credo – dice – che la sentenza parli da sola. Noi siamo stati sempre fiduciosi e abbiamo avuto ragione ragione. Il lavoro che hanno fatto gli investigatori e i pubblici ministeri è stato eccelso. Stefano non è mai andato via, è qua anche adesso con me”. Rispondendo a una domanda sul mancato pentimento di Said, la donna ha risposto che “sarà una cosa che dovrà risolvere da solo, dovrà fare i conti con se stesso e non con me“.
I pm Ciro Santoriello ed Enzo Bucarelli, durante la requisitoria durata diverse ore, avevano chiesto 30 anni. “La domanda di giustizia della famiglia ha trovato un esito che era l’unico che secondo noi si poteva immaginare. Ma non c’è nulla di cui la famiglia possa essere felice – dice Nicolò Ferraris, avvocato della famiglia della virrima – Stefano Leo è morto e questo è qualcosa che non può mutare”. Annuncia ricorso il legale dell’imputato: “Pensavo in qualcosa di meglio. Ne ero ragionevolmente convinto. In appello sono sicuro che la pena sarà sensibilmente ridotta” commenta l’avvocato Basilio Foti osservando che il giudice ha “riconosciuto le attenuanti subvalenti rispetto alle aggravanti, una cosa abbastanza rara“.