Sono passati appena due giorni dal via libera definitivo della Cina alla nuova legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong e già se ne vedono le conseguenze. A Causeway Bay, distretto dello shopping dell’ex colonia britannica, sono tornate in piazza migliaia di persone per protestare nel giorno del 23esimo anniversario del ritorno dei territori sotto la sovranità cinese, con la polizia che ha cercato di disperdere con cannoni ad acqua, cartucce urticanti (a Lane Crawford) e proiettili di gomma. Scene identiche a quelle viste dei mesi scorsi durante le manifestazioni pro-democrazia. Oltre 300 gli arresti durante la manifestazione non autorizzata, con accuse che vanno dalla manifestazione illegale alla violazione della nuova legge sulla sicurezza nazionale, fino all’ostacolo al rispetto delle leggi e al possesso di armi offensive. Un agente è stato ferito con un “oggetto affilato” mentre cercava di arrestare alcuni dimostranti. Secondo quanto riportato dai media cinesi, soltanto 9 persone – 5 uomini e 4 donne – sono state fermate con capi di accusa previsti dalla legge appena approvata.
Il primo a finire in manette, prima delle contestazioni, è stato un uomo che, secondo i media locali, possedeva una bandiera della Hong Kong indipendente. Un gesto che, secondo le autorità, può configurare un reato tra quelli di sedizione, separatismo, ingerenza straniera o tradimento puniti dalla nuova legge, destinata a frantumare l’ampia autonomia e libertà che Pechino aveva promesso di mantenere a Hong Kong per almeno 50 anni, fino al 2047, secondo il modello ‘un Paese, due sistemi’. La polizia, nel frattempo, ha usato per la prima volta anche la nuova bandiera viola che vale come monito ai manifestanti che utilizzano drappi o striscioni illegali o che scandiscono cori e slogan che esprimono propositi di secessione o sovversione.
È proprio per mettere il bavaglio alle proteste che da mesi riempiono le strade del Porto Profumato, fermatesi solo per il lockdown dovuto alla pandemia di coronavirus, che Pechino ha esercitato pressione sul compiacente governo locale per arrivare all’approvazione della nuova legge. È notizia di martedì, dopo il varo cinese della legge, che i sospettati potranno essere trasferiti in Cina per un processo con il consenso del leader di Hong Kong, mentre la retroattività delle norme potrà scattare nella raccolta di prove contro coloro che infrangeranno la legge dal primo luglio. Le pene previste vanno da un minimo di tre anni di reclusione fino all’ergastolo, calcolate in base all’entità dell’offesa. Inoltre, la Cina istituirà nei territori di Hong Kong un’agenzia sulla sicurezza nazionale.
Le reazioni internazionali – L’Unione europea, per bocca del presidente del Consiglio Ue Charles Michel, si dice preoccupata perché “questa legge rischia di minare seriamente l’alto livello di autonomia di Hong Kong e l’indipendenza del potere giudiziario. La Ue deplora questa decisione”. Il segretario di stato americano, Mike Pompeo, ha invece minacciato “rappresaglie” degli Usa, dopo l’ipotesi di sanzioni alla Cina, definendo quello di ieri “un triste giorno” per Hong Kong. Parole in parte condivise anche dal premier britannico, Boris Johnson: “Naturalmente siamo profondamente allarmati”, ha detto riservandosi di “verificare” se il testo sia “in conflitto con la dichiarazione congiunta” firmata con Pechino al tempo della restituzione dell’ex colonia britannica. Johnson ha poi aggiunto di non voler cavalcare “alcuna sinofobia”, ma non ha escluso reazioni su questo specifico punto da annunciare “al momento opportuno”.