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Moby e CIN, chiesto il concordato in bianco per trovare un accordo con i loro creditori: lo Stato, le banche e gli obbligazionisti

Le due società del gruppo Onorato dichiarano lo stato di crisi e si appellano alla legge fallimentare. L'effetto immediato è bloccare l’arrivo di istanze di fallimento o richieste di pignoramento cautelativo. Un portavoce dell’azienda a ilfattoquotidiano.it smentisce sia l'ipotesi di una pubblicizzazione che quella dell'ingresso di un operatore di private equity

Moby e CIN (ex Tirrenia) dichiarano lo stato di crisi e si appellano alla legge fallimentare. Con due note pubblicate nella Borsa del Lussemburgo, Moby ha comunicato agli obbligazionisti che entrambe le società – controllate dalla Onorato Armatori srl – hanno richiesto il “concordato in bianco” al Tribunale di Milano per “continuare sotto la sua egida le negoziazioni con i propri creditori”, allo scopo di ottenere con questi un “accordo di ristrutturazione (del debito, nda)”. Al netto degli auspici di medio termine del gruppo – guidato da Vincenzo Onorato in solitaria dopo il decesso recente della madre 95enne, sua unica socia nella Onorato Armatori srl – la procedura ha un primo effetto immediato: bloccare l’arrivo di istanze di fallimento o richieste di pignoramento cautelativo da parte proprio dei creditori. La legge dispone infatti che dal momento della prenotazione del concordato e per un massimo di 180 giorni, l’azienda entri in un periodo di tutela durante il quale non sono garantiti debiti e crediti precedenti. Non si potranno quindi replicare situazioni come il blocco dei conti correnti già subito dal gruppo nel marzo scorso che provocò lo stop delle navi ex Tirrenia per 3 giorni, un tipo di danno insostenibile per Moby e CIN durante questa stagione estiva, funzionale a recuperare parte del fatturato perso per lo stallo dei collegamenti dovuto al lockdown.

Durante i prossimi 6 mesi Moby e CIN dovranno presentare al Tribunale le proprie proposte di rinegoziazione ai creditori detentori dei circa 800 milioni del suo indebitamento complessivo “stimato” – le informazioni sui conti aziendali sono infatti ferme alla trimestrale del 30 settembre 2019 – e raccogliere il consenso della maggioranza a questo piano di ristrutturazione. Senza tale consenso le due aziende si troverebbero infatti nuovamente fuori dalla tutela del concordato e quindi esposte ad iniziative di “recupero crediti” da parte dei creditori, inclusa la peggiore: un nuovo processo fallimentare su loro iniziativa, come già accaduto nell’ottobre scorso.

Ma chi sono questi creditori maggioritari che dovranno accettare la rinegoziazione, e quindi riduzione, del loro credito per evitare il fallimento di Moby e CIN? Il primo per anzianità del credito è lo Stato, cui il gruppo Onorato, nella persona giuridica della Tirrenia di navigazione in A.S. (la bad company creata con la privatizzazione del 2012), deve 180 milioni, di cui 115 già scaduti. Dopo l’iniziativa aggressiva dei commissari liquidatori verso CIN, col pignoramento dei conti correnti, l’accordo di tregua – i cui termini non sono ancora pubblici – ha avviato un dialogo costante tra gruppo, commissari e Governo, che pone la richiesta di concordato in bianco quale parte di un percorso condiviso. All’interno di quest’ultimo starebbe anche la proroga annuale della convenzione tra Stato e CIN da 72 milioni di euro l’anno, sancita dal governo nel decreto Rilancio, per la quale si attenderebbe il disco verde della Commissione europea in materia di aiuti di Stato.

Disco verde che tuttavia per CIN è scontato al punto da aver già avviato le prenotazioni stagionali con le tariffe convenzionate. Il gruppo Onorato Armatori smentisce tuttavia che il punto d’arrivo finale di tale percorso condiviso sia l’ingresso dello Stato nel capitale di CIN spa (una parziale ripubblicizzazione di Tirrenia a 8 anni dalla privatizzazione tout court): “La famiglia (Onorato nda) è assolutamente in grado di proseguire nella gestione del business da sola – dichiara il portavoce dell’azienda a ilfattoquotidiano.it – e non è mai stato previsto né l’ingresso dello Stato in Cin, né l’ingresso di un operatore di private equity”.

La seconda smentita fa riferimento all’indiscrezione raccolta da ilfattoquotidiano.it riguardo il dialogo tra il gruppo e chi detiene la quota maggioritaria del suo debito: i possessori del bond con cui Moby spa raccolse 300 milioni di euro nel 2016, con la promessa di restituirli nel 2023 e garantire ogni anno una ricca cedola del 7,75%. Oggi il bond vale il 15% del suo valore – la metà del tetto che l’agenzia Moody’s bollò come “junk” (ovvero “spazzatura”) – e a marzo Moby ha informato i detentori di non poter saldare la cedola 2020 loro spettante: 10 milioni di euro. La maggioranza di questi “junk bond” sono oggi in mano ad alcuni fondi speculativi che li hanno acquistati nel mercato secondario da chi voleva liberarsene durante la progressiva caduta del valore del titolo, occorsa da due anni a questa parte. E questi fondi speculativi – riunitisi in un consorzio – hanno già messo sotto accusa la direzione del gruppo, chiedendo di fatto il superamento del controllo esclusivo esercitato da Vincenzo Onorato. A tal proposito la Onorato Armatori srl risponde a ilfattoquotidiano.it che “un accordo sulla governance con i bondholders era stato trovato, ma è saltato anche a causa del Covid”, e non prevedeva “l’ingresso di un operatore di private equity” nell’azienda.

Di certo una novità nella governance piacerebbe alle banche, terzo grande prestatore con cui il gruppo è esposto per 160 milioni di euro, da alcuni mesi divenuti un credito deteriorato. Nel febbraio scorso Moby ha infatti annunciato di non poter saldare la rata da 50 milioni prevista e i rapporti con Unicredit, capofila del prestito, sono peggiorati al punto che questa ha smesso di essere il partner fiduciario e garante dei creditori (“Security Agent”) per l’obbligazione da 300 milioni di cui sopra, sostituita il 30 aprile dalla londinese GLAS.