Gli audio del giudice di Cassazione, Amadeo Franco, estensore delle motivazioni della sentenza di condanna per frode fiscale di Silvio Berlusconi, in cui racconta che quel verdetto per l’affaire dei diritti Mediaset gonfiati da lui approvato “faceva schifo”, sono a disposizione della Corte europea per i diritti dell’uomo dal maggio scorso. Secondo quanto riporta l’Ansa, che cita fonti legali, i giudici di Strasburgo già nel 2015 erano stati informati dell’esistenza di queste registrazioni captate all’insaputa dell’ermellino morto l’anno scorso. I nuovi atti, inviati oltre un un mese fa, fanno parte di una nuova memoria difensiva che ha integrato il ricorso che era stato presentato alla Corte circa sei anni fa. Ricorso, che nessuno sembra ricordare, era stato archiviato su richiesta dell’ex premier.

Dal punto di vista tecnico i magistrati europei potrebbero comunicare al governo italiano l’esistenza del ricorso e chiedere eventuali valutazioni. La Corte potrebbe, quindi, fissare una udienza pubblica o incardinare la vicenda in un mero scambio di carte ma comunque giungere ad una decisione finale. “I giudici – ribadiscono i difensori – potrebbero non annullare la sentenza ma individuare eventuali lesioni al diritto di difesa o offrire elementi per un eventuale revisione del processo”. Il 27 luglio 2018 Silvio Berlusconi, proprio tramite il collegio difensivo, chiese di interrompere l’iter ritenendosi soddisfatto per aver ottenuto la riabilitazione che gli ha permesso di candidarsi ed essere eletto al Parlamento europeo. Quattro mesi dopo la Cedu aveva chiuso il caso informando che non c’erano “circostanze speciali relative al rispetto per i diritti umani che richiedano di continuare l’esame” e quindi il ricorso del leader di Forza Italia era stato cancellato dalla sua lista.

Ebbene i magistrati di Strasburgo – che avevano deciso a maggioranza e non all’unanimità come spesso accade – avevano fatto riferimento all’articolo 37.1 della Convenzione che prevede che “in ogni momento della procedura, la Corte può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze permettono di concludere: che il ricorrente non intende più mantenerlo; oppure che la controversia è stata risolta; oppure che per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata. Tuttavia la Corte – si leggeva – prosegue l’esame del ricorso qualora il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli lo imponga”. Quindi avrebbero avuto la facoltà di proseguire comunque l’esame del ricorso e lo avevano comunque archiviato pur essendo stati informati dell’esistenza di queste registrazioni. Potevano continuare l’iter se avessero individuato – al di là del parere del ricorrente – la lesioni dei suoi diritti umani.

Una mossa, a sorpresa, quella di Berlusconi che pur aveva trovato attenzione da parte del collegio della Grande Camera e davanti a oltre 500 persone tra giornalisti, studenti e avvocati. I magistrati per esempio avevano chiesto conto ai rappresentanti del governo italiano sulle “discrepanze” tra il caso di Berlusconi e quello di Augusto Minzolini, salvato da uno schieramento bipartisan dalla decadenza inflitta invece all’ex Cavaliere. Il giudice islandese Robert Spano, per esempio, aveva chiesto se le regole potevano spiegare “se in un particolare caso può essere esercitato un potere discrezionale” da parte del Senato. Il magistrato portoghese Paulo Pinto de Albuquerque, aveva chiesto ragione di un altro punto sottolineato dai legali di Berlusconi: “La scelta di procedere al Senato con uno scrutinio pubblico malgrado il regolamento preveda un voto segreto in tutti i casi”. Insomma la corte era interessata all’argomento. Gli avvocati del governo avevano ribadito che la Convenzione era stata rispettata.

Il punto però è un altro. Berlusconi presentò il primo ricorso a Strasburgo poco dopo la sua decadenza (27 novembre 2013) e ha dovuto attendere cinque anni per poter essere ascoltato. E la rinuncia ad avere una sentenza dove per una volta non era lui l’imputato sembrò strana. Il collegio difensivo si disse però certo che quel verdetto sarebbe stato favorevole. “Il presidente Berlusconi a seguito di una ingiusta sentenza di condanna era stato privato, con indebita applicazione retroattiva dalla cosiddetta legge Severino, dei suoi diritti politici con conseguente decadenza dal Senato. Nell’aprile di quest’anno l’intervenuta riabilitazione ha anticipatamente cancellato gli effetti della predetta legge. Non vi era dunque più alcun interesse di ottenere una decisione che riteniamo sarebbe stata favorevole – la nota dell’epoca degli avvocati Franco Coppi, Niccolò Ghedini, Andrea Saccucci e Bruno Nascimbene -. La Corte EDU a distanza di quasi 5 anni dalla proposizione del ricorso, a quella data, non aveva ancora provveduto. Ovviamente così come riconosciuto quest’oggi dalla stessa Corte, non vi era più necessità di proseguire nel ricorso essendo ritornato il Presidente Berlusconi nella pienezza dei propri diritti politici. Non vi era dunque più alcun interesse dopo oltre 5 anni di ottenere una decisione che riteniamo sarebbe stata favorevole alle ragioni del Presidente Berlusconi ma che non avrebbe avuto alcun effetto concreto o utile, essendo addirittura già terminata la passata legislatura. Una condanna dell’Italia avrebbe altresì comportato ulteriori tensioni nella già più che complessa vita del paese, circostanza che il Presidente Berlusconi ha inteso assolutamente evitare”. La domanda quindi è questa. Perché se non c’era più interesse allora – quando gli audio erano già in possesso di Berlusconi e l’esistenza nota ai magistrati europei – dovrebbe esserci oggi? E perché se l’intento era di non creare tensioni questo intento – in un momento molto delicato con gli effetti devastanti sull’economia a causa della pandemia – non perdura?

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