Degli oltre 300 milioni di animali allevati in gabbia ogni anno in Unione, oltre 45 milioni sono in Italia. Nella classifica dalle associazioni animaliste siamo superati da Austria, Germania, Olanda e tanti altri. Lo scienziato: "Le pandemie rischiano di diventare sempre più frequenti"
L’Italia è solo al diciassettesimo posto tra i Paesi dell’Unione europea, nella classifica stilata in base alla percentuale di animali allevati in gabbia e pubblicata dalla coalizione italiana End the Cage Age, costituita da Animal Equality, Animalisti italiani, Animal Law, CIWF, ENPA, Humane Society International Italia, LAV, Legambiente, Lega Nazionale del Cane e OIPA. Perché se in Ue galline, scrofe, conigli, quaglie, anatre e oche sono allevati, per la maggior parte, in gabbie che limitano molto la loro possibilità di muoversi, costringendoli a una vita piena di sofferenze, degli oltre 300 milioni di animali allevati in gabbia ogni anno in Unione, oltre 45 milioni sono in Italia. Quello degli allevamenti intensivi è un problema ancora più serio su cui occorre più che mai intervenire, a maggior ragione dopo la scoperta in Cina di un virus potenzialmente pandemico di origine suina. Non è un caso se, a riguardo, nelle ultime ore Giorgio Palù, già presidente delle Società italiana ed europea di virologia, ha chiesto all’Organizzazione mondiale della Sanità di promuovere in tutto il mondo ‘regole stringenti’ sugli allevamenti intensivi, ricordando che in Cina ci sono grandi allevamenti di maiali.
LA CLASSIFICA EUROPEA – Per quanto riguarda gli allevamenti in Europa e gli animali in gabbia, i Paesi più virtuosi sono Austria e Lussemburgo (in entrambi i casi gli animali in gabbia rappresentano solo il 4% del totale, mentre il 96% è libero), ma anche Svezia (88%) e Germania (85%). Seguono Olanda (79%), Belgio (67%), Danimarca (64%), Regno Unito (63%), Irlanda (44%), Slovenia (43%) e Romania (41%). Decisamente meno virtuosi Finlandia (39%), Ungheria (33%), Croazia (29%), Cipro e Bulgaria (entrambi al 26%), Italia (24%), Francia (20%), Slovacchia e Grecia (entrambi al 15%), Repubblica Ceca e Polonia (entrambi al 14%), Lettonia e Estonia (13%), Spagna e Portogallo (6%), Lituania (5%) e Malta (3%). In Italia, in particolare, esiste una norma che vieta le gabbie solo per anatre e oche (foie gras), ma non c’è alcun divieto per le gabbie di galline, conigli, quaglie, vitelli e scrofe (né per le gabbie di gestazione, né per quelle di allattamento), anche se solo per queste ultime è stata espressa una posizione di possibile supporto al divieto, in particolare da parte del ministro della Salute, Roberto Speranza.
L’APPELLO – La Coalizione invita i cittadini a twittare, dunque, ai ministri competenti (http://www.legambienteanimalhelp.it/endthecageage/) Speranza e Teresa Bellanova, ministro delle Politiche agricole, perché si impegnino ad avviare la transizione a sistemi senza gabbie sia in Italia che nell’Unione Europea. L’anno scorso, a seguito della campagna di comunicazione associata all’Iniziativa dei Cittadini Europei End the Cage Age, più di un milione di persone ha firmato la richiesta di mettere fine all’era delle gabbie in UE. In Italia, le firme raccolte e autenticate dal ministero dell’Interno sono oltre 90mila. Quando le firme di tutti i Paesi saranno validate, verranno consegnate alla Commissione Europea, che potrà pronunciarsi positivamente o negativamente sulla richiesta, eventualmente avviando un processo legislativo in favore della dismissione delle gabbie. “La dismissione delle gabbie dagli allevamenti è urgente perché risponde a una sempre più pressante istanza etica di milioni di cittadini europei ed è coerente con la rinnovata e crescente attenzione anche a livello europeo per il benessere animale e la sostenibilità, così come tracciato nel Green Deal” dichiarano le associazioni, sottolineando che “far uscire dall’invisibilità le sofferenze di decine di milioni di animali è un dovere etico di ogni Paese civile e democratico”.
IL VIROLOGO SUL NUOVO VIRUS: “REGOLE STRINGENTI PER GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI” – Il tema degli allevamenti intensivi è però di stringente attualità anche per un’altra ragione, soprattutto dopo la scoperta di un virus nei maiali potenzialmente pandemico, noto secondo l’Oms dal 2011 su cui è stato pubblicato uno studio recente. Ecco perché Giorgio Palù, già presidente delle Società italiana ed europea di virologia, ricordando che “le pandemie rischiano di diventare sempre più frequenti”, anche a causa del nostro impatto sul pianeta, ha chiesto all’Organizzazione mondiale della Sanità di promuovere “regole chiare e stringenti e sorveglianza per tutti gli allevamenti”. E ha fatto presente che proprio in Cina ci sono “grandi allevamenti intensivi di maiali, che hanno recettori dell’influenza sia per i virus aviari sia per quelli umani”. In pratica funzionano come “una sorta di provetta, in grado di mescolare i virus dell’uomo e degli uccelli”, dando origine a nuovi patogeni. Molte volte questi allevamenti si trovano ai bordi delle risaie “dove trasmigrano le anatre, che spesso sono portatrici del virus influenzale”. Per Palù non c’è dubbio: “L’Oms dovrebbe far sì che tutti i Paesi possano applicare le regole di prevenzione, come non permettere allevamenti di maiali vicino alle risaie o il consumo di animali selvatici. E anche imporre la sorveglianza costante degli allevamenti”.